domenica 25 novembre 2018

COSA RISERVA IL FUTURO A PAESI COME CASTIGLION FIORENTINO?




"Il modello dei grandi centri commerciali è in crisi in tutto il mondo. E segna il passo persino in Italia, dove nel 2018 le chiusure di questi paradisi dello shopping (10) sono state per la prima volta più delle aperture (9). A mettere in ginocchio il settore è l’implacabile evoluzione darwiniana della specie, in questo caso quella dei consumatori. Gli iper hanno soffocato i negozi di vicinato. Ora, per la legge del contrappasso,
l’e-commerce — dove corre ormai il 10% degli acquisti al dettaglio mondiali — sta togliendo l’ossigeno a loro.”
Questa notizia, contenuta in un articolo di un importante quotidiano, mi ha fatto riflettere sul destino di territori come il nostro.  Il commercio ha, infatti, svolto un ruolo importante nello sviluppo locale. Senza i commerci non sarebbero nate le città e i nostri paesi hanno funzionato, per lunghi anni, come “centri commerciali naturali”. 
Oggi, che tutto cambia in maniera vorticosa, si tratta di capire cosa fare per non arrendersi a quello che sembra un ineluttabile destino di lenta, ma costante decrescita, più o meno felice.

Detto in altre parole quali idee si possono tirare fuori per guardare con ragionevole speranza al futuro.  

venerdì 23 novembre 2018

LA DIFESA DEL PRESEPE E LE POLITICHE SOCIALI


Non capisco perché le festività del Natale debbano diventare terreno di polemica. Ultima (e a dire il vero ricorrente) in ordine di tempo è quella sull'allestimento nel Presepe nelle scuole.
Personalmente amo il Presepe, probabilmente lo amo molto di più dell’albero di Natale, e lo difenderò sempre. Ma questo non m’impedisce di dire che su queste questioni c’è sempre chi cerca di farsi pubblicità, in specie quando riveste una carica pubblica. E credo che abbia ragione chi sostiene che le priorità, per un’amministrazione, dovrebbero essere altre: la povertà, la marginalità, le famiglie che non arrivano alla fine del mese, gli anziani che rinunciano a scaldarsi oppure non comprano le medicine perché non hanno i soldi.  

Tutto questo ormai non sembra più far parte dell’orizzonte della politica. Difatti mentre si spende fior di quattrini per organizzare feste sempre più splendide, con una sorta di gara tra i comuni a chi allestisce il Natale più bello, dall'altro si riducono le risorse per chi ha bisogno. Perciò la difesa del Presepio che arriva da certi ambienti ha il sapore acido del latte avariato. Bisogna essere conseguenti con quei valori che si dice di voler difendere, e sarebbe meglio, nelle spese pubbliche, tagliare il superfluo per dare qualcosa a chi ha bisogno.

domenica 18 novembre 2018

LAVORARE PER NULLA?



In troppi hanno la percezione (quelli che hanno un lavoro intendo)  di " lavorare per nulla”. Lavorano per nulla gli artigiani e i piccoli imprenditori che si vedono mangiare una fetta insostenibile di  reddito dal fisco, lavorano per nulla i dipendenti che, con gli stipendi di oggi, non riescono più a risparmiare, lavorano per nulla i precari che hanno ben poche speranze per il futuro, lavorano per nulla i ragazzi dei fast food e dei grandi centri commerciali costretti a contratti da fame.  C’è poi l’esercito di chi un lavoro lo cerca e non lo trova nonostante le statistiche dicano che la disoccupazione è in diminuzione. Peccato che nessuno se ne è accorto. Tutte queste cose attendono una risposta rapida, perché non c’è cosa peggiore della rabbia che cresce senza speranza, non esiste cosa peggiore del vedere crescere la disuguaglianza, perché in questa situazione c’è chi guadagna trilioni, e non poter fare niente. Poi non lamentiamoci se la gente si rivolge agli “stregoni”.


venerdì 16 novembre 2018

IL CENTRO STORICO DI CASTIGLIONI COME MODELLO PER CREARE LAVORO E SVILUPPO


La parola che mi viene in mente, quando penso al nostro centro storico, è “riabilitare” nel significato di “renderlo di nuovo capace di svolgere determinate funzioni”. Non si tratta di tornare indietro nel tempo, quando il centro storico era il “centro” non solo geografico ma anche amministrativo, economico e politico della comunità. Si tratta di inventarsi qualcosa di nuovo, per non perdere definitivamente la memoria dei luoghi e la ricchezza di cultura, storia e tradizione che i centri storici, in particolare quello di Castiglion Fiorentino, si portano dietro.
Ci sono zone della “città murata” che presentano un degrado incipiente nonostante i residenti s’impegnino per  mantenere il decoro e l’ordine. Il problema nasce in gran parte dallo spopolamento, dalla perdita di attività economica e dobbiamo dirlo, con un certo rammarico, dal disinteresse e dallo scarso senso civico. Troppe volte si leggono dichiarazioni rassegnate di politici o di amministratori, sull'impossibilità materiale di fare qualcosa. Una resa inaccettabile perché molto può essere fatto, purché si abbia in testa un progetto. Talvolta occorre andare per tentativi, attraverso quelle che si chiamano congetture e confutazioni. Ci siamo accorti per esempio che aiutare economicamente le attività serve a poco, se non c’è un programma per riportare la gente dentro le mura. Così come ci siamo accorti che le politiche degli eventi per quanto rappresentino un’iniezione di fiducia non sono la soluzione. Un giorno puoi avere migliaia di persone ma per i restanti 364 giorni non hai nessuno. E c’è una differenza fondamentale tra avere le “luci delle case accese e il divertimentificio senza controllo”.

In questo senso occorrono riflessioni ragionate. Per esempio su quel che potrebbero fare le università, comprese quelle straniere, con le loro attività di ricerca. Oppure le imprese: quanti servizi non strettamente legati alla produzione possono tornare o essere collocati dentro le mura? Penso alle strutture di comunicazione, agli studi professionali, alle attività di servizio a tutto quello che viene prima e dopo la produzione.  
Non possiamo però pretendere di avere tutto e subito, occorre andare per gradi: la prima cosa è recuperare il decoro urbano, non esiste che intere zone siano abbandonate a se stesse. Penso alla Badiola, a piazza S. Agostino, ai vicoli che fanno da contorno alla parte alta del Corso Italia. La seconda operazione è lavorare su incentivi mirati per il recupero funzionale dei fondi commerciali e artigianali che oggi hanno le serrande abbassate. Un altro aspetto è la rivisitazione delle aree a parcheggio e del transito dei veicoli. In ultimo bisogna pesare a favorire la residenza anche con iniziative di edilizia pubblica in specie per le giovani coppie e anziani. Dopo si può passare a un'altra fase: per esempio il recupero della funzione scolastica, ci sono spazi inutilizzati come l’ex ospedale che potrebbero essere riacquisti a questo scopo . E’ un’ottima cosa l’idea di utilizzare la chiesa di S. Agostino per usi convegnistici ma non basta avere un grande spazio se poi mancano le strutture di supporto che fanno da contorno all'aula principale. Un'altra idea, mutuata da altre esperienze, è recuperare la vocazione artistica e artigianale del paese. Si potrebbe pensare alla via S. Michele come una strada dedicata a questo scopo. Agevolando con incentivi l’uso degli spazi commerciali e offrendoli gratuitamente, almeno per qualche mese a chi vuole mettere in piedi un laboratorio, una mostra, una piccola attività artigianale. In ultimo è necessario rafforzare la rete museale. Castiglion Fiorentino aveva una vera e propria rete costituita dal Museo archeologico, dalla Pinacoteca, dagli scavi sotterranei, dal museo della Pieve, dalla Torre del Cassero, dalla Porta Etrusca. Oggi questo tessuto si è arricchito di nuove collezioni sarebbe bello che il cuore del paese ricominciasse a pulsare al ritmo della grande ricchezza culturale ereditata dai secoli passati.
Tutto questo non significa abbandonare le periferie, anzi vuol dire il contrario, perché un centro stico vitale è volano per tutto il territorio. Castiglion Fiorentino ha enormi possibilità occorre trovare la chiave giusta per aprire la porta di un nuovo sviluppo.
Paolo Brandi


mercoledì 14 novembre 2018

I GIORNALISTI E LE PROSTITUTE. BREVE RIFLESSIONE E NESSUN SI SENTA OFFESO


Non amo la servitù delle parole, non amo chi, pur avendo l’intelligenza e la capacità di capire le cose si mette “a servizio”, confermando quel che disse un certo Bakunin, e cioè che il “servilismo è una schiavitù volontaria”. 
Ne consegue che mentre lo schiavo non è colpevole, i servi sono, in molti casi, meritevoli di condanna. 
Attenzione, non parlo di coloro che si mettono al servizio di un’idea, rischiando del proprio. Ho sempre avuto una segreta ammirazione per chi, pur stando dalla parte sbagliata, mostra coerenza e coraggio e dunque onoro i morti, quelli che stanno al “Campo della memoria” e quelli che stanno nei cimiteri partigiani e chi conosce un pò di storia sa a cosa mi riferisco. Sarà questa la ragione per cui ho sempre più difficoltà nel distinguere i buoni dai cattivi, specialmente quando la storia è scritta dai vincitori.

Io nego la mia solidarietà a chi si mette prono non per convinzione ma per interesse. Parlo di chi per mestiere dovrebbe informare e invece ignora fatti macroscopici e, di converso, esalta minuzie da niente. Allo stesso tempo però ritengo eccessivi i giudizi trancianti su tutta una categoria, sanno di razzismo intellettuale. Non è vero che i giornalisti sono tutti prostitute, alcuni però lo sono.

Mi si potrà rispondere che ci sono prostitute e prostituti in tutte le professioni. E’ vero. Ma ci sono mestieri come quello dell’insegnate o del giornalista che si portano dietro una responsabilità in più, perché formano la testa delle persone, le opinioni, orientano la mente. E questi lavori dovrebbero essere liberi dalla sottomissione che deriva dai mercanteggiamenti.
Non posso amare questa gente: cosa penseremmo di un macchinista che ferma il treno in aperta campagna, perché così conviene al suo amico o di un medico che sbaglia di proposito le diagnosi? Lo stesso succede a chi vende le parole. Ferma l’attenzione secondo i desideri di chi lo paga e confonde le analisi per favorire chi lo favorisce.  
Non tutti sono così, però, se ci guardiamo intorno, anche nel nostro piccolo modo antico, dobbiamo onestamente riconoscere che parecchi sono così.  
Paolo Brandi

martedì 13 novembre 2018

CASTIGLION FIORENTINO: VIA MARTIRI DI NASSIRIYA NON E’ UNA STRADA QUALUNQUE


Qualche giorno fa ho comprato una maglietta, non che fosse particolarmente bella, anzi è normalissima ma mi piaceva la scritta: “no future without a past”, nessun futuro senza un passato. E’ un capo di abbigliamento che vorrei regalare a tutti quelli che continuano a pensare che il futuro sia come una “palla di cannone accesa” e che dietro la bocca del cannone non ci sia niente.
Non voglio riesumare Bernardo di Chartres il quale, da buon filosofo, sosteneva “che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.” Ma non voglio nemmeno dare ragione a coloro che, per giustificare la propria pochezza, ignoranza e rozzezza di pensiero sostengono che il passato sia da buttare nella tazza del water e sia sufficiente tirare la catena per vivere senza pensieri.



Perché queste riflessioni? Perché credo che una comunità non debba mai perdere la memoria. Senza memoria non esiste identità.  Per questo sono rimasto male nel costatare che  giornali ed emittenti locali, di solito generosi d’informazioni sui fatti del nostro paese ieri, 12 novembre, non abbiano riportato l’annuncio del ricordo di un altro dodici novembre, quello del 2003, quando un kamikaze si lanciò contro la “Base Maestrale” dell’esercito italiano a Nassiriya.
Ci furono 28 morti, di cui 19 italiani (e fra questi dodici carabinieri). La cronaca finisce qui e da questo momento comincia la memoria.  Si può discutere sull'opportunità dell’intervento militare in Iraq ma non si può negare il ricordo ai caduti.
A Castiglion Fiorentino, qualche anno addietro, fu intitolata una strada a quel triste evento: Via Martiri di Nassiriya. Da castiglionese mi sarei aspetto che giungesse la notizia che qualcuno, a 15 anni di distanza, avesse deposto un mazzo di fiori per rievocare le vittime. Dico questo senza polemica, senza voler gettare la croce addosso a nessuno, so bene che l’esercizio della memoria è faticoso e in un’epoca in cui tutto sembra correre alla velocità della luce anche quello che è successo ieri appartiene al passato remoto. Non è però un bene, perché cancellando il ricordo si cancella una parte di noi stessi e quando questo accade all'interno di una comunità, il gioco effimero del quotidiano prende spesso il sopravvento sulle cose serie.
Paolo Brandi


giovedì 8 novembre 2018

Castiglion Fiorentino: LA STAZIONE E LA PAURA


Sono arrabbiato, anzi di più, sono incazzato nero con me stesso. La causa è in quello che mi è accaduto ieri. Da un pò di tempo evito di viaggiare in macchina lungo la SR 71, in certi momenti quella strada è un alveare, meglio prendersela comoda e sfruttare il fatto che Castiglion Fiorentino ha un ottimo collegamento ferroviario con Arezzo. 
Ieri, a pomeriggio inoltrato, sono andato alla stazione e, da quel momento in poi, due cose mi hanno fatto infuriare. 
La prima incavolatura è stata cagionata dal fatto che la nostra stazione non ha più una biglietteria. Ho già segnalato questa cosa ma pare che non interessi a nessuno. Eppure le biglietterie sono utili: funzionano da presidio, offrono un servizio a turisti ed anziani,rendono viva una stazione tuttavia, chi dovrebbe risolvere il problema, se ne strafotte, lasciando le cose come sono. Ma non è questa la ragione principale della mia rabbia.
La ragione principale è che a quell'ora sulla banchina, in attesa del treno, c’ero io, un paio di ragazzine e un bel pò di stranieri, in gran parte persone di colore. Sia chiaro, non facevano nulla di male, eppure mi sono sentito a disagio.
Mi sono chiesto: se uno come me, una persona normale, di media cultura, più o meno aperto al mondo, si sente così, la stessa cosa può allora capitare a tante altre persone. E con più ragione può accadere a chi vive in quartieri degradati, in periferie urbane assediate, in stazioni ferroviarie dove puoi trovare di tutto.

In quel preciso istante, di fronte al mio ingiustificato disagio, ho capito la rabbia che sento montare in giro. Una rabbia sorda, primordiale che non cresce nei quartieri eleganti, ma turbina, come un uragano, laddove vive la gente semplice. Una rabbia generata dalla paura.
La paura, alla faccia di chi la nega, è un fatto concreto, si tocca con mano, ti fa soffrire quanto la fame e la sete, la paura ti rende fragile perché inquina l’anima e la fa diventare permeabile a qualunque dottrina, comprese quelle che predicano l’odio e la violenza. La paura è tanto più forte quando si combina col disagio economico, alla lotta quotidiana per la sopravvivenza. Oggi sopravvivere non significa solo arrovellarsi per un tozzo di pane, significa trovare i soldi per pagare il mutuo, cercare un lavoro, curarsi senza spendere un patrimonio. La paura, com'è capitato a me su quella banchina, ottenebra la ragione e ti fa pensare che il problema in questo paese siano i poveri e non invece i troppo ricchi.
A Genova multano quelli che per bisogno (altrimenti chi diavolo lo farebbe?), frugano nei cassonetti in cerca di cibo. E’ facile prendersela con gli ultimi, con i più deboli, ma è così che si risolvono i problemi?  La ragione direbbe di no, eppure c’è sempre più gente che lo pensa. Sia chiaro, questo non vuol dire che chi delinque, chi si comporta male, debba sempre avere una giustificazione. Il tempo del libro “Cuore” è finito e chi compiere un crimine, grande o piccolo che sia, va punito.
Un vecchio proverbio cinese dice: “Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito”, per questo io sono arrabbiato con me stesso. Perché alla stazione, ieri sera, ho guardato il dito ed ho sentito crescere dentro di me un fastidio, un timore per i quali provo vergogna.

Paolo Brandi  

venerdì 2 novembre 2018

ELEZIONI PROVINCIALI: IL PIANTO DEL GIORNO DOPO


C’è un film intitolato “L’uomo del giorno dopo” , oggi, dopo l’oscenità  delle elezioni per la presidenza della provincia assistiamo al “pianto del giorno dopo”.  
Mentre la destra plaude e improvvisa balli di gioia, nel centrosinistra sono tutti affranti, col cuore a pezzi e l’animo che stenta a ripartire.
Mi nasce spontanea una domanda: e prima a cosa pensavano? A cosa pensavano quei bravi ragazzi (e ragazze)? Che cosa hanno fatto perché quello che è successo non accadesse? 
Eppure di schiaffi in faccia ne avevamo presi tanti, ma non è bastato. 
Viene il dubbio, ma è solo un’iperbole per carità, che come successe alla repubblica spagnola nel 1936, ci sia una quinta colonna che lavora “scientificamente” per la distruzione. Non per la distruzione del PD, per quella si danno da fare a  Roma, ma per l’annichilimento di una storia politica di un intero territorio, quasi che le radici di sinistra fossero una cosa da cui emendare la provincia di Arezzo.

Ai piagnoni di oggi, che vengono fuori come funghi dopo la pioggia, dico solo che forse con un pò più di impegno, di onestà, di lealtà da parte di tutti si potevano evitare tante sconfitte nei comuni e oggi, di conseguenza, non saremmo  a discutere della provincia.
Certo la colpa, se di colpa vogliamo parlare, è di quei farabutti che hanno cambiato la preferenza nel segreto dell’urna, di chi si è astenuto, di chi ha preferito la festa di Halloween all'impegno istituzionale. Certo, sono loro i sicari, ma la storia è ben più lunga anche se nessuno e dico nessuno, se la vuol sentire raccontare.
Lo so che sono parole buttate al vento. Perché un partito che ha smesso da tempo di interrogarsi non ha bisogno di parole, come diceva qualcuno, le “parole sono pietre”. Sono pesanti e quando arrivano in testa fanno male.  
Meglio, molto meglio camminare sul filo al pari degli equilibristi per salvare se stessi e fregarsene di quello che succede intorno. Senza rendersi conto che quando la nave affonda, affoga l’intera ciurma: marinai, mozzi e capitani.
Oggi tutti indossano le gramaglie del lutto e ne hanno ben donde, ma non abbiate timore, domani,  quando si affacceranno le elezioni amministrative o più ancora quelle regionali, rindosseranno la divisa da parata e la danza macabra, che ci ha portato a questo punto, ricomincerà.
Io sono indignato, arcistufo di stare a guardare la rovina di quello che i nostri padri, i nostri nonni e prima di loro altre generazioni hanno costruito in più di un secolo di storia.  So altrettanto bene che indignarsi non serve a niente, in certi ambenti ovattati la risposta sarà sempre  –chissenefrega-. 
Ma  io lo grido lo stesso, quantomeno non avrò sulla coscienza il peccato di omissione.
Un’ultima cosa smettiamola di piangere e ricominciamo sorridere, ma non tra noi, in mezzo alla gente.  
Paolo Brandi

giovedì 1 novembre 2018

I MISTERI DEL MONUMENTO AI CADUTI DI CASTIGLION FIORENTINO




Si avvicina il 4 novembre, una data un tempo festiva, che, quest’anno, per puro caso, capita di domenica. Purtroppo, una legge “sciagurata”, l’ha trasformata in una di quelle che sono definite “festività mobili, cioè quelle giornate di celebrazione che ricadono nel giorno festivo immediatamente successivo a quello ufficiale.
Un tempo il 4 novembre si celebrava la vittoria nella prima Guerra Mondiale, oggi più prosaicamente si è trasformata nella festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate.
A me piace ricordarla alla vecchia maniera, perché altrimenti non si comprenderebbe il perché, quest’anno, via sia un così grande fervore nel volerla celebrare. Il motivo è presto detto: sono trascorsi esattamente 100 anni dalla fine della Grande guerra.
Un conflitto che in tre anni costò all'Italia qualcosa come 650.000 morti e a una comunità come quella castiglionese, che all'epoca contava più o meno come oggi, 13.000 abitanti, 368 caduti e dispersi.  Un costo enorme in termini di vite spezzate, dolori e rinunce.
Una guerra che è rimasta impressa nella memoria collettiva e che è commemorata in quasi tutti i paesi da monumenti e lapidi.
Castiglion Fiorentino la ricorda con una targa commemorativa nella facciata della Chiesa di Montecchio, con i monumenti di Brolio, Castroncello e Manciano e con due steli che rimandano alla memoria dei caduti della Venerabile Arciconfraternita di Misericordia e del Collegio Serristori.

Ma la ricorda soprattutto con il grande monumento ai caduti ubicato nei giardini pubblici.
Studiando le vicende che hanno portato alla realizzazione di quest’opera ho svelato, come ricorda il giornale La Nazione, due piccoli misteri.
Il primo è che nelle cronache dell’epoca i caduti castiglionesi erano indicati in 269, poi grazie al lavoro certosino, portato avanti nel 2002, del nostro concittadino Remo Ghezzi, viene fuori che i caduti castiglionesi erano stati ben 338. Mi sono domandato il perché di questa difformità. Consultando le cronache del tempo, si parla dell’anno 1923, si scopre che in questo triste computo non erano stati riportati i dispersi e chi era deceduto nei campi di prigionia o, a guerra finita, negli ospedali militari.
La burocrazia è spietata e fin quando non c’è una certificazione, oppure è trascorso un certo numero di anni non si può dichiarare qualcuno definitivamente scomparso. Immaginiamo che in molte famiglie il fatto che i loro congiunti non fossero stati dichiarati ufficialmente morti, alimentasse la  segreta speranza che qualcuno potesse tornare dalle lontane terre della Galizia o di Pannonia, laddove i nostri soldati erano stati imprigionati.
Il secondo mistero è per certi versi ancor più intrigante. Leggendo i verbali del comitato che presiedeva alla realizzazione del monumento, si scopre che dietro la targa in bronzo che rappresenta S. Michele,  posta sul basamento della scultura, era stata realizzata una teca, contenete una pergamena, con scritti i nomi dei 269 caduti. Un fatto, questo, di cui a Castiglioni si era persa la memoria. Si tratta di una sorta di capsula del tempo destinata, nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa, a perpetuare nei secoli i nomi dei gloriosi caduti. Oggi, che sappiamo quell'elenco essere incompleto, è sembrato doveroso aggiornarlo. Così una nuova pergamena, contenete stavolta i nomi dei caduti mancanti, sarà posta anch'essa nella base del monumento a perpetuare la memoria dei giovani castiglionesi che sacrificarono la vita in quell'immane conflitto.
Paolo Brandi