"Il
modello dei grandi centri commerciali è in crisi in tutto il mondo. E segna il
passo persino in Italia, dove nel 2018 le chiusure di questi paradisi dello
shopping (10) sono state per la prima volta più delle aperture (9). A mettere
in ginocchio il settore è l’implacabile evoluzione darwiniana della specie, in
questo caso quella dei consumatori. Gli iper hanno soffocato i negozi di
vicinato. Ora, per la legge del contrappasso,
l’e-commerce
— dove corre ormai il 10% degli acquisti al dettaglio mondiali — sta togliendo
l’ossigeno a loro.”
Questa notizia, contenuta in un
articolo di un importante quotidiano, mi ha fatto riflettere sul destino di
territori come il nostro. Il commercio
ha, infatti, svolto un ruolo importante nello sviluppo locale. Senza i commerci
non sarebbero nate le città e i nostri paesi hanno funzionato, per lunghi anni,
come “centri commerciali naturali”.
Oggi, che tutto cambia in maniera vorticosa,
si tratta di capire cosa fare per non arrendersi a quello che sembra un
ineluttabile destino di lenta, ma costante decrescita, più o meno felice.
Detto in altre parole quali
idee si possono tirare fuori per guardare con ragionevole speranza al futuro.
In pochi affrontano il tema di
cosa significhi un nuovo paradigma economico per paesi come il nostro, tutti
pensano alle grandi città e pochi ai paesi che pure rappresentano l’ossatura
dei territori.
La crisi del 2008 sembrava un evento lontano,
eppure ha inciso in profondità sulla pelle anche delle piccole comunità:
aziende chiuse, consumi ridotti, difficoltà a trovare un lavoro. Non possiamo
pensare che le cose che accadono lontano da noi non ci riguardino.
Come s’intende affrontare il
futuro?
E’
sufficiente una politica del giorno per giorno, della toppa cucita a tappare il
buco per sostituire un’idea di programmazione sul lungo/medio periodo? Sono domande decisive perché il tempo corre veloce
e non si può risolvere tutto dando una mano di vernice sui problemi. Ho l’impressione
che alla fine, quando la gente torna a casa, si ritrovi sola con i suoi
problemi. E non è con lo zucchero filato che si da mangiare a una famiglia.
Paolo Brandi
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