giovedì 27 settembre 2018

PERCHÉ HO VOTATO SCHEDA BIANCA PER IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PD.


Un vecchio adagio recita “ se l’esser libero ti stanca, vota pure scheda bianca”, stavolta, per la prima volta in vita mia, non ho dato retta alle indicazioni degli antichi e ho deposto la scheda bianca nell'urna. L’ho fatto, come iscritto, per la votazione del Segretario Regionale del PD.
I motivi sono più di uno:
Il primo è che si tratta di una votazione che serve a poco, per non dire a niente.  Le elezioni “vere”, le così dette primarie aperte, quelle dove parteciperanno anche i non iscritti, ci saranno il 14 ottobre ed è lì che si sceglierà il segretario. Che la consultazione degli iscritti sia poco sentita lo dimostrano le percentuali dei votanti, un iscritto su 3, poco più del 30%, come a dire: cari dirigenti fate quel che vi pare, tanto a noi non ce ne frega niente.

Secondo perchè ritenevo che le assemblee degli iscritti, invece che diventare dei “contifici”, potessero essere usate per riaprire un dialogo con la gente sui problemi della Toscana e questo non è stato fatto. Terzo perché i programmi, o meglio le piattaforme, che i due candidati hanno presentato, sono così poveri d’idee da non consentire alcun tipo di scelta: solo titoli e niente sostanza. E’ inquietante pensare di affrontare, con quest’approssimazione, appuntamenti decisivi come le prossime amministrative e le elezioni regionali.
In ultimo credevo che occorresse ribaltare completamente la prospettiva. Ho l’impressione, ma a questo punto è più di un’impressione, che in troppi passino da una riunione all'altra, senza fermarsi a guardare quello che succede intorno. Se così non fosse un appuntamento come il congresso regionale avrebbe avuto un altro percorso.
Occorreva per prima cosa partire da un’analisi su quello che è successo in Toscana, dove abbiamo perso tutto quello che si poteva perdere, poi affrontare i bisogni della gente, comprendere le loro preoccupazioni, decifrare le loro aspettative e su questo mettere in fila i candidati e i programmi.
Invece si è fatto il contrario: prima i nomi poi si vedrà.
Detto in maniera brutale ho la sensazione che ci sia già un tentativo di accaparrarsi poltrone future, senza rendersi conto che, di questo passo, non ci sarà nemmeno uno strapuntino.
Paolo Brandi


mercoledì 26 settembre 2018

BIGLIETTERIA CHIUSA ALLA STAZIONE CASTIGLIONESE. È INCIVILTÀ’



Sempre più spesso, visto che la SR 71, in certe ore del giorno, è un “inferno”, prendo il treno per spostarmi da Castiglioni ad Arezzo e ritorno. 
Dieci minuti di viaggio, senza code, senza lavori in corso e senza imbecilli che sorpassano, come se fosse in autodromo, sono un toccasana per il fegato e lo stress.  Per altro, un treno ogni ora, consente di programmare la giornata senza affanni e rincorse.
Purtroppo ho notato un paio di cose che non vanno.
La prima, la meno prosaica, ma non per questo meno importante,  è che da anni i bagni sono sbarrati. E questo fatto non va bene vista la quantità di persone che transitano per la stazione.
La seconda, più eclatante, è la chiusura della biglietteria, preannunciata da un malinconico cartello che avverte della chiusura ma non dice quando verrà riaperta.
Se, come dice qualcuno, i centri storici sono l'anima di una città e la stazione è il suo biglietto da visita, possiamo dire che il biglietto da visita di Castiglioni si sia un pò sgualcito.

E questo fatto è ancor più grave perché la stazione castiglionese serve un bacino molto più ampio di quello comunale, si parla di centinaia di persone il giorno: pendolari, turisti, semplici viaggiatori.
Perché privarli di un servizio così importante? 
Il problema non è solo dove fare i biglietti, c’è anche quello, perché, a certe ore del giorno, i rivenditori sono chiusi e non sempre le macchine automatiche funzionano. Ma oltre a questo vengono fuori anche altri problemi:  c’è un problema di presidio per evitare il degrado, c’è un problema di informazione nei confronti dei turisti, che spesso utilizzano il nostro paese come base per poi vistare le città: ad Arezzo si arriva in dieci minuti, a Firenze in un’ora e a Roma in due ore e mezzo. C’è un problema di un’utenza anziana che spesso non s’intende di automatismi e rimane spiazzata.
La battaglia per la biglietteria alla stazione non è una battaglia di gente che non accetta la modernità, la battaglia per la biglietteria è una questione di civiltà. Non si può gradualmente smantellare la stazione di un comune di oltre 13.000 abitanti e che serve un territorio che spazia da Rigutino a Foiano.
E poi, lasciatemelo dire, le stazioni meritano rispetto perché sono luoghi incantati.
Come diceva Zafron: “Avevo sempre pensato che le vecchie stazioni ferroviarie fossero tra i pochi luoghi magici rimasti al mondo. I fantasmi di ricordi e di addii vi si mescolano con l'inizio di centinaia di viaggi per destinazioni lontane, senza ritorno. Se un giorno dovessi perdermi, che mi cerchino in una stazione ferroviaria". 

Paolo Brandi




martedì 25 settembre 2018

CASTIGLIONI: IL CENTRO STORICO SALVATO DAL COMMERCIO E DALL’ARTE


Che cosa può salvare l’anima e il destino dei centri storici?
La risposta non è per niente facile, non a caso, generazioni di amministratori si sono dannate senza, alla fine, trovare una soluzione che accontentasse tutti.
La prima cosa da dire è che i centri storici non sono uguali: ci sono quelli isolati, ci sono quelli che si collegano con le periferie, ci sono quelli ridotti a città fantasma. E poi, senza offendere nessuno, ci sono quelli belli e quelli brutti, ci sono quelli pieni di storia e quelli imbottiti di miserie.  
Castiglion Fiorentino rientra nella categoria dei centri storici belli e per certi versi incontaminati: basta un giro in via Adimari, a S.Lazzo, in Via Rosa, in vicolo Bongini, per rendersi conto di quello che dico.

La parte storica di Castiglioni ha grandissime potenzialità e può diventare il volano di un nuovo modello di sviluppo. Ma, per essere tale, deve diventare il luogo dell’efficienza, un contenitore d’idee, un incubatore di progetti. Uno spazio fisico dove la capacità amministrativa sfidi, senza paure, i luoghi comuni e i pregiudizi.
Il primo tema è quello del traffico e della sosta, ci sono le condizioni, almeno d’estate, per liberarci dal traffico e da una sosta invasiva e pervasiva?
Una volta fatto questo, ci sono le condizioni per recuperare, attraverso un piano d’iniziativa pubblico-privata, i fondi commerciali e artigianali sfitti e/o in abbandono?
È possibile pensare a un piano di valorizzazione economico/culturale dei palazzi storici o almeno di alcuni di essi? In ultimo ma non ultimo, è possibile rivitalizzare la rete commerciale che, di fatto, rappresenta la spina dorsale di ogni centro storico?  
Un tempo c’erano tante piccole botteghe. Oggi, sono sopravvissuti pochi punti vendita tradizionali, in compenso si è assistito a uno sviluppo, assai interessante, di ristoranti e gastronomie, concentrato però nell'asse principale. E’ un passo avanti ma non basta, perché la grande bellezza del nostro centro storico è data dall'armonia del suo insieme e non possano convivere aree piene di vita con altre soggette al degrado e all'abbandono.  
Il commercio, in tal senso, può svolgere una funzione essenziale. Per questo va aiutato e sostenuto con sgravi fiscali, aiuti ai giovani, nuovi modelli imprenditoriali. L’obiettivo deve essere duplice: più lavoro e tutela di un bene immenso fatto di storia e arte.
Attenti però a non cadere nel rimpianto per i bei tempi andati. Qui si parla di modernità, le nuove botteghe devono essere smart, connesse con il mondo, multifunzionali, animate, devono rappresentare un esempio di futuro positivo.
Serve uno sforzo collettivo, un’alleanza tra istituzioni, associazioni di categoria e cittadini per ridisegnare insieme il futuro del paese.
Paolo Brandi

martedì 18 settembre 2018

PER RISOLLEVARE IL PD CI VOGLIONO CACCIARI, SAVIANO e BARCA



Quando osservo le vicende del PD mi pare di sfogliare il “Libro della Giungla”. È una selva dove s’inseguono lupi, scimmie, serpenti e pavoni. 
Che ci crediate o no, ho il cuore a pezzi, nel veder disperdere, in mille rivoli, un’eredità gloriosa costruita, con tanti sacrifici, dalle generazioni passate. Sacrifici veri, mica chiacchere, perchè ci sono state persone finite in galera per quelle idee, costrette all'esilio, discriminate sui posti di lavoro. È retorica? No, è storia, e la storia, come si sa, va avanti per corsi e ricorsi, non è un processo lineare, tocca punte altissime e poi precipita. Oggi siamo a un punto molto basso.
Prendete per esempio la polemica sulle cene. Calenda invita Gentiloni, Renzi e Minniti e Zingaretti se ne va in trattoria con uno studente, un piccolo imprenditore e un operaio.  
Ma è possibile, mi domando io, ridurre la politica a queste scempiaggini?
Ormai ci ridono tutti dietro: c’è chi parla di “Ultima cena”, chi della “Cena delle beffe”, qualcuno, più carogna, rammenta il film “La cena dei cretini” e via dicendo.
Invece delle cene ci vorrebbe un bel digiuno, quell'astinenza dal cibo che induceva Pietro Crisologo a dire “Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare“.
Il problema è tutto lì, questi sono ormai disconnessi dalla realtà, e sembrano non capire che forse sarebbe meglio andare a un fast food, non per farsi un panino, ma per domandare ai ragazzi che lavorano lì, con poco stipendio e meno diritti, per chi hanno votato.  

Ma ormai siamo arrivati alla scissione dalla logica oltre che dalla realtà.
Quando il Presidente di un partito, leggi Orfini, che per funzione dovrebbe garantire le regole, propone di stracciare lo statuto del PD e andare a costruire un altro soggetto politico, vuol dire che siamo alla frutta.
Attenzione, l’idea non è strampalata, che ci sia necessità di un fronte ampio, in grado andare oltre il Pd e interpretare a livello europeo i sentimenti di libertà, tolleranza, uguaglianza, solidarietà è necessario, ma non può farsi carico di quest’idea chi ha contribuito allo sfascio.
Forse c’è bisogno di un cambio e siccome le idee viaggiano sulle gambe degli uomini, c’è bisogno che qualcuno, con umiltà, ceda il passo. Che non si sia capita questa necessità è dimostrato dalle vicende del PD toscano, dove si va, in un clima di sconforto, a un congresso che dovrebbe essere cruciale, visto che incombono  le amministrative del 2019 e le regionali del 2020.
Lo sconforto di costatare che un gruppo dirigente, che ha perso tutto quello che c’era da perdere, pretenda di guidare ancora il PD Toscano riparandosi dietro una persona capace come Simona Bonafè. L’alternativa? Il candidato della “sinistra” in verità c’entra poco con le politiche fallimentari, ma non si risolvono i dilemmi dei democratici toscani con i dejà vu.
Ma dove vogliamo andare in queste condizioni?  C’è chi litiga e accetta compromessi su poltrone, seggiole e strapuntini che, tra due anni, forse non ci saranno più. La cosa migliore è evitare di intraprendere un viaggio in questo deserto d’idee. Andate a leggere le linee programmatiche dei due candidati e capirete a cosa mi riferisco.  
Qualcuno potrà dire: tu parli bene ma la ricetta ce l’hai? Non sono un cuoco e non ho ricette, mi è rimasto solo un po’ di buon senso e anche quello va scemando. Volete per forza una soluzione? Mettiamo alla testa di un fronte ampio, di cui farà parte anche il PD, tre persone: Massimo  Cacciari, Roberto Saviano e Fabrizio Barca. Come a dire intelligenza, rigore morale e il sentimento di una sinistra solidale e poi vediamo come va a finire.

Paolo Brandi


martedì 11 settembre 2018

COSA SUCCEDEREBBE ALL’OUTLET CON LA CHIUSURA DOMENICALE?


L’argomento del giorno è l’obbligo di chiusura domenicale per le attività commerciali. Dal punto di vista dei principi il riposo settimanale non solo è sacrosanto ma è garantito dalla carta costituzionale: “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale” (articolo 36).
Ciò detto bisogna anche capire cosa accadrebbe se questa norma venisse applicata in un mondo che non ha più i bioritmi del passato. Ho fatto qualche domanda in giro e ne ho ricavato un quadro ben poco tranquillizzante.
Prendiamo ad esempio l’outlet, vien fuori che un divieto come quello che è stato anticipato produrrebbe i seguenti effetti:
Un calo del fatturato intorno al 30%, una riduzione di circa 300 posti di lavoro, una diminuzione drastica delle assunzioni stagionali, un calo considerevole dell’indotto, con conseguente perdita di reddito e ulteriori posti di lavoro. Senza considerare che ormai i grandi centri commerciali sono diventati le piazze degli anni 2000, ci si scapiterebbe oltre che economicamente anche socialmente.
Tutto sbagliato dunque proporre la chiusura domenicale?

No, perché in punta di diritto le aperture domenicali (e in altri giorni festivi) contrastano in molti casi con un altro principio costituzionale, quello che dice, riguardo alle donne lavoratrici ma potremmo estendere il concetto anche agli uomini : “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.” (articolo 37).
È indubbio che lavorare di domenica rompe equilibri familiari e costringe a molte rinunce.
Queste questioni tuttavia non si affrontano con atti d’imperio, tanto più se si va a incidere sulla sfera di libertà d’iniziativa privata.
Non è riportando indietro le lancette dell’orologio che si risolvono i problemi ma affrontandoli con una prospettiva diversa che tenga insieme diritti e occupazione, libertà e autonomia.

lunedì 10 settembre 2018

CASTIGLION FIORENTINO: LA GRANDE BELLEZZA DI S. AGOSTINO


La grande bellezza dell’Italia non è fatta solo dall'architettura e dagli edifici che disegnano i nostri centri storici, ma anche dalla vita che pulsa tra le loro mura.
Castiglion Fiorentino, con il suo intreccio di strade, vicoli e piazze, in cui si affacciano edifici pieni di storia, è un bell'esempio di come la socialità si sia coniugata, nel tempo, all'armonia urbana.
Purtroppo, come gran parte dei centri storici, subisce la violenza del tempo e degli uomini. Piazze, che non erano pensate a quello scopo, sono diventate parcheggi, vicoli, un tempo pieni di vita, sono diventati terreno di conquista di erbe e cartacce. Le stesse strade maestre, che da secoli svolgono egregiamente la loro funzione, cominciano a subire il peso di del traffico e di un’usura che gli antichi architetti non potevano preventivare.
I centri storici sono come organismi viventi, hanno bisogno di cure di attenzioni e, più sono vecchi, più l’affetto e il rispetto verso di loro deve essere grande. Per renderli vivi ci vogliono il commercio, la residenza, servizi, quelle attività che li rendano vivaci ogni giorno dell’anno. Il turismo, per quanto importante, non può essere la sola risposta in grado di evitare la polverizzazione del tessuto sociale, commerciale e produttivo, né possono esserlo le manifestazioni, per quanto belle e ben organizzate. Ma di queste avremo modo di parlare.

sabato 8 settembre 2018

DUE PICCOLI CARTELLI APPESI ALLE COLONNE DELLA MAESTÀ’ DI MAMMI

Qualcuno ha avuto l’idea di attaccare, con il nastro adesivo, due frasi, una di Bukowski, l’altra di Conrad, sulle colonnette che sorreggono il piccolo porticato della Maestà di Mammi.
Non conosco la ragione del gesto, comunque sia lo considero un atto gentile. Se è vero come diceva Goethe che “si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole” quell'atto così bizzarro, mi appare meno bizzarro. 
M’indica che le parole poetiche, nella loro relazione grammaticale e sentimentale, ci aiutano a capire il mondo meglio delle immagini di una Polaroid e delle frasi da 120 battute.
So bene che è faticoso concentrarsi nella lettura, perché costringe a pensare e non è detto che alla fine ci si capisca qualcosa. Però, come dicevo, aiuta. Per questo forse dovremo, per qualche minuto, mettere il silenziatore alla grancassa e fermarsi, come suggeriva Goethe, ad ascoltare musica, a leggere e alla fine tirare fuori qualche frase sensata.
Accolgo l’obiezione di chi dice che queste cose si possono fare con la pancia piena. E’ vero, è più facile essere incazzati che tranquilli quando c’è incertezza, quando le ingiustizie sono palesi, quando al merito si sostituisce la raccomandazione, quando assistiamo impotenti a un mondo che si ribalta su se stesso. 
Non è facile perdersi tra le note musicali quando intorno soffia la tempesta. Però uno sforzo dobbiamo pur farlo. Ci sono tante cose da scoprire e da recuperare: sicurezze, principi, identità. Ma per far questo non serve affidarsi all'istinto predatorio, mostrando i canini come lupi, perché mordi, mordi, alla fine non rimarrà più nulla da sbranare. 
L’unica strada è trovare un equilibrio diverso, che però non metta in crisi i nostri valori, che io continuo a considerare parte fondamentale della nostra storia. E la storia, nella vita delle persone, è importante perché “chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”.
Per questo ringrazio chi ha appeso quelle frasi sulle colonne della Maestà, perché mi ha dato una mano a riflettere.

Paolo Brandi

lunedì 3 settembre 2018

PD: BASTA COL GIOCO DELLE TRE CARTE!


Dire quello che si pensa non deve essere un’eccezione ma la regola, ed io voglio dire quello che penso.
Cosa penso?
Penso che sia ora di farla finita con il gioco delle tre carte.
Un esempio è la battuta, per modo di dire di Del Rio, persona per altro seria, quando, alla festa dell’Unità di Ravenna, afferma, sulla possibilità di un dialogo PD 5stelle, “ad aprile era molto difficile, gli elettori in gran parte erano contrari. Non è stata colpa di Renzi".

Il ragionamento, in un partito che si dice democratico, non farebbe una grinza, c’è solo un piccolo problema che nessuno, in quell’occasione, ha sentito quello che ne pensavano veramente iscritti e simpatizzanti del PD.
Se ne deduce che qualcuno ha interpretato quella presunta volontà provocando un abbraccio mortale tra Lega e 5stelle.
Con il dialogo si sarebbe arrivati a un accordo? Non lo so, probabilmente no, ma era doveroso provarci.
Ma al di là di questo io affermo che il PD non deve avere paura dei propri militanti. Mi domando perché l’SPD tedesca chieda, con un referendum ai propri iscritti, se sono d’accordo a fare un governo con la  CDU e invece da noi questo non si fa?
Quanti errori, compreso il referendum costituzionale, si sarebbero potuti evitare se si ascoltava, prima di prendere una decisione, i sentimenti della gente del PD.
Io non voglio più che qualcuno interpreti quello che penso.
Dirò di più pretendo, esigo, reclamo a gran voce che quell’aggettivo “democratico” abbia un valore qualitativo e quella qualità può essere data solo da un voto. I militanti del PD vogliono decidere e non fare solo i portatori d’acqua.
E per sgombrare il campo da qualunque equivoco dico anche che quando una decisione è presa, in maniera democratica e trasparente, si rispetta, anche se si pensa in maniera diversa.

Paolo Brandi