Qualche giorno fa ho comprato una maglietta, non che fosse
particolarmente bella, anzi è normalissima ma mi piaceva la scritta: “no future
without a past”, nessun futuro senza un passato. E’ un capo di abbigliamento che
vorrei regalare a tutti quelli che continuano a pensare che il futuro sia come
una “palla di cannone accesa” e che dietro la bocca del cannone non ci sia
niente.
Non voglio riesumare Bernardo di Chartres il quale, da buon filosofo, sosteneva
“che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più
cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del
nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.”
Ma non voglio nemmeno dare ragione a coloro che, per giustificare la propria pochezza,
ignoranza e rozzezza di pensiero sostengono che il passato sia da buttare nella
tazza del water e sia sufficiente tirare la catena per vivere senza pensieri.
Perché queste riflessioni? Perché credo che una comunità non debba mai
perdere la memoria. Senza memoria non esiste identità. Per questo sono rimasto male nel costatare
che giornali ed emittenti locali, di
solito generosi d’informazioni sui fatti del nostro paese ieri, 12 novembre,
non abbiano riportato l’annuncio del ricordo di un altro dodici novembre,
quello del 2003, quando un kamikaze si lanciò contro la “Base Maestrale” dell’esercito
italiano a Nassiriya.
Ci furono 28 morti, di cui 19 italiani (e fra questi dodici
carabinieri). La cronaca finisce qui e da questo momento comincia la
memoria. Si può discutere sull'opportunità dell’intervento militare in Iraq ma non si può negare il ricordo ai caduti.
A Castiglion Fiorentino, qualche anno addietro, fu intitolata una
strada a quel triste evento: Via Martiri di Nassiriya. Da castiglionese mi
sarei aspetto che giungesse la notizia che qualcuno, a 15 anni di distanza, avesse
deposto un mazzo di fiori per rievocare le vittime. Dico questo senza polemica,
senza voler gettare la croce addosso a nessuno, so bene che l’esercizio della
memoria è faticoso e in un’epoca in cui tutto sembra correre alla velocità
della luce anche quello che è successo ieri appartiene al passato remoto. Non è
però un bene, perché cancellando il ricordo si cancella una parte di noi stessi
e quando questo accade all'interno di una comunità, il gioco effimero del
quotidiano prende spesso il sopravvento sulle cose serie.
Paolo Brandi
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