Non
amo la servitù delle parole, non amo chi, pur avendo l’intelligenza e la
capacità di capire le cose si mette “a servizio”, confermando quel che disse un certo Bakunin, e cioè
che il “servilismo è una schiavitù volontaria”.
Ne consegue che mentre lo schiavo non è
colpevole, i servi sono, in molti casi, meritevoli di condanna.
Attenzione, non
parlo di coloro che si mettono al servizio di un’idea, rischiando del proprio.
Ho sempre avuto una segreta ammirazione per chi, pur stando dalla parte sbagliata,
mostra coerenza e coraggio e dunque onoro i morti, quelli che stanno al “Campo
della memoria” e quelli che stanno nei cimiteri partigiani e chi conosce un pò di
storia sa a cosa mi riferisco. Sarà questa la ragione per cui ho sempre più
difficoltà nel distinguere i buoni dai cattivi, specialmente quando la storia è
scritta dai vincitori.
Io nego la mia solidarietà a chi si mette prono non per convinzione ma per interesse. Parlo di chi per mestiere dovrebbe informare e invece ignora fatti macroscopici e, di converso, esalta minuzie da niente. Allo stesso tempo però ritengo eccessivi i giudizi trancianti su tutta una categoria, sanno di razzismo intellettuale. Non è vero che i giornalisti sono tutti prostitute, alcuni però lo sono.
Mi
si potrà rispondere che ci sono prostitute e prostituti in tutte le
professioni. E’ vero. Ma ci sono mestieri come quello dell’insegnate o del
giornalista che si portano dietro una responsabilità in più, perché formano la
testa delle persone, le opinioni, orientano la mente. E questi lavori
dovrebbero essere liberi dalla sottomissione che deriva dai mercanteggiamenti.
Non
posso amare questa gente: cosa penseremmo di un macchinista che ferma il treno
in aperta campagna, perché così conviene al suo amico o di un medico che sbaglia
di proposito le diagnosi? Lo stesso succede a chi vende le parole. Ferma l’attenzione
secondo i desideri di chi lo paga e confonde le analisi per favorire chi lo
favorisce.
Non
tutti sono così, però, se ci guardiamo intorno, anche nel nostro piccolo modo
antico, dobbiamo onestamente riconoscere che parecchi sono così.
Paolo Brandi
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