C’è un film
intitolato “L’uomo del giorno dopo” , oggi, dopo l’oscenità delle elezioni per la presidenza della
provincia assistiamo al “pianto del giorno dopo”.
Mentre la destra plaude e improvvisa balli di
gioia, nel centrosinistra sono tutti affranti, col cuore a pezzi e l’animo che stenta
a ripartire.
Mi nasce spontanea
una domanda: e prima a cosa pensavano? A cosa pensavano quei bravi ragazzi (e
ragazze)? Che cosa hanno fatto perché quello che è successo non accadesse?
Eppure di
schiaffi in faccia ne avevamo presi tanti, ma non è bastato.
Viene il dubbio,
ma è solo un’iperbole per carità, che come successe alla repubblica spagnola nel
1936, ci sia una quinta colonna che lavora “scientificamente” per la
distruzione. Non per la distruzione del PD, per quella si danno da fare a Roma, ma per l’annichilimento di una storia
politica di un intero territorio, quasi che le radici di sinistra fossero una
cosa da cui emendare la provincia di Arezzo.
Ai piagnoni
di oggi, che vengono fuori come funghi dopo la pioggia, dico solo che forse con
un pò più di impegno, di onestà, di lealtà da parte di tutti si potevano
evitare tante sconfitte nei comuni e oggi, di conseguenza, non saremmo a discutere della provincia.
Certo la
colpa, se di colpa vogliamo parlare, è di quei farabutti che hanno cambiato la
preferenza nel segreto dell’urna, di chi si è astenuto, di chi ha preferito la
festa di Halloween all'impegno istituzionale. Certo, sono loro i sicari, ma la
storia è ben più lunga anche se nessuno e dico nessuno, se la vuol sentire
raccontare.
Lo so che
sono parole buttate al vento. Perché un partito che ha smesso da tempo di
interrogarsi non ha bisogno di parole,
come diceva qualcuno, le “parole sono pietre”. Sono pesanti e quando arrivano
in testa fanno male.
Meglio, molto
meglio camminare sul filo al pari degli equilibristi per salvare se stessi e
fregarsene di quello che succede intorno. Senza rendersi conto che quando la nave affonda, affoga l’intera
ciurma: marinai, mozzi e capitani.
Oggi tutti
indossano le gramaglie del lutto e ne hanno ben donde, ma non abbiate timore, domani, quando si affacceranno le elezioni amministrative
o più ancora quelle regionali, rindosseranno la divisa da parata e la danza
macabra, che ci ha portato a questo punto, ricomincerà.
Io sono indignato,
arcistufo di stare a guardare la rovina di quello che i nostri padri, i nostri
nonni e prima di loro altre generazioni hanno costruito in più di un secolo di
storia. So altrettanto bene che indignarsi
non serve a niente, in certi ambenti ovattati la risposta sarà sempre –chissenefrega-.
Ma io lo grido lo stesso, quantomeno non avrò
sulla coscienza il peccato di omissione.
Un’ultima
cosa smettiamola di piangere e ricominciamo sorridere, ma non tra noi, in mezzo
alla gente.
Paolo Brandi
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