venerdì 2 novembre 2018

ELEZIONI PROVINCIALI: IL PIANTO DEL GIORNO DOPO


C’è un film intitolato “L’uomo del giorno dopo” , oggi, dopo l’oscenità  delle elezioni per la presidenza della provincia assistiamo al “pianto del giorno dopo”.  
Mentre la destra plaude e improvvisa balli di gioia, nel centrosinistra sono tutti affranti, col cuore a pezzi e l’animo che stenta a ripartire.
Mi nasce spontanea una domanda: e prima a cosa pensavano? A cosa pensavano quei bravi ragazzi (e ragazze)? Che cosa hanno fatto perché quello che è successo non accadesse? 
Eppure di schiaffi in faccia ne avevamo presi tanti, ma non è bastato. 
Viene il dubbio, ma è solo un’iperbole per carità, che come successe alla repubblica spagnola nel 1936, ci sia una quinta colonna che lavora “scientificamente” per la distruzione. Non per la distruzione del PD, per quella si danno da fare a  Roma, ma per l’annichilimento di una storia politica di un intero territorio, quasi che le radici di sinistra fossero una cosa da cui emendare la provincia di Arezzo.

Ai piagnoni di oggi, che vengono fuori come funghi dopo la pioggia, dico solo che forse con un pò più di impegno, di onestà, di lealtà da parte di tutti si potevano evitare tante sconfitte nei comuni e oggi, di conseguenza, non saremmo  a discutere della provincia.
Certo la colpa, se di colpa vogliamo parlare, è di quei farabutti che hanno cambiato la preferenza nel segreto dell’urna, di chi si è astenuto, di chi ha preferito la festa di Halloween all'impegno istituzionale. Certo, sono loro i sicari, ma la storia è ben più lunga anche se nessuno e dico nessuno, se la vuol sentire raccontare.
Lo so che sono parole buttate al vento. Perché un partito che ha smesso da tempo di interrogarsi non ha bisogno di parole, come diceva qualcuno, le “parole sono pietre”. Sono pesanti e quando arrivano in testa fanno male.  
Meglio, molto meglio camminare sul filo al pari degli equilibristi per salvare se stessi e fregarsene di quello che succede intorno. Senza rendersi conto che quando la nave affonda, affoga l’intera ciurma: marinai, mozzi e capitani.
Oggi tutti indossano le gramaglie del lutto e ne hanno ben donde, ma non abbiate timore, domani,  quando si affacceranno le elezioni amministrative o più ancora quelle regionali, rindosseranno la divisa da parata e la danza macabra, che ci ha portato a questo punto, ricomincerà.
Io sono indignato, arcistufo di stare a guardare la rovina di quello che i nostri padri, i nostri nonni e prima di loro altre generazioni hanno costruito in più di un secolo di storia.  So altrettanto bene che indignarsi non serve a niente, in certi ambenti ovattati la risposta sarà sempre  –chissenefrega-. 
Ma  io lo grido lo stesso, quantomeno non avrò sulla coscienza il peccato di omissione.
Un’ultima cosa smettiamola di piangere e ricominciamo sorridere, ma non tra noi, in mezzo alla gente.  
Paolo Brandi

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