mercoledì 22 agosto 2018

INVECE CHE FESTE DELL'UNITA' CHIAMIAMOLE FESTE DELL'UMILTA'


Diceva Albert O. Hirschman che "non c'è peggior categoria di politici di coloro che credono di sapere sempre come stanno le cose, senza bisogno di confrontarsi con chi non la pensa come loro poiché, oltre ad aver la mente chiusa al dubbio e all'apprendimento, hanno la supponenza di chi non ha nulla da imparare".
Quelle parole mi risuonano in testa come una campana a lutto. Quanta ragione e quanta difficoltà nell'applicare quella dote che si chiama Umiltà. Umiltà nello smettere di pensare che ragione e verità stiano da una parte sola, umiltà come servizio nel mettere se stessi e le proprie azioni a disposizione degli altri.
E’ un esercizio difficile lo so, basta vedere come l’agire politico che, per sua natura, dovrebbe essere finalizzato al bene comune, e dunque non avere bisogno di esaltazioni su face book, instagram e chi più ne ha più ne metta, diventi sempre più spesso spettacolo per coprire il vuoto d’idee e proposte.
Dobbiamo scendere dal piedistallo e tornare a immergerci nella vita reale delle persone: quelle che prendono il treno dei pendolari, quelle che fanno la fila allo sportello ella USL, quelle che vanno nei supermercati  a fare la spesa, quelle che arrivavano a stento a fine mese, quelle che pagano il 47% del proprio reddito in tasse, quelle che non capiscono perchè la bolletta del gas costa più di tasse che di consumi. L’elenco potrebbe continuare a lungo: lotta ai privilegi, prezzo dei libri scolastici, tasse universitarie, rette degli asili nido e delle case di riposo ma non voglio tediarvi. Umiltà e dedizione due vocaboli che sembrano scomparsi dal nostro vocabolario politico e che invece vanno rimessi al centro.
Una proposta: per un anno, due e forse anche tre invece le Feste dell'Unità chiamiamole feste dell'Umiltà.
Paolo Brandi

domenica 19 agosto 2018

QUELLI CHE PIANGONO E POI TI FREGANO, OVVERO POPULISMO VS. DEMAGOGIA





Il populismo, come ho cercato di spiegare, non è di per se negativo,  perché aiuta a capire quello che vuole la gente.  Diventa negativo quando si assecondano gli istinti peggiori e si promette ciò che non può essere mantenuto, perché così si produce ancor più scontentezza e alla fine si arriva, non solo metaforicamente, a tagliare le teste in piazza.  Il fatto di incolpare sempre qualcun altro senza assumersi responsabilità e soprattutto senza indicare soluzione, può accontentare tanta gente ma non risolve i problemi
Ecco perché io continuo a dire che attaccare i privilegi, l’ingiustizia sociale, garantire la sicurezza, pretendere il rispetto dei valori della nostra civiltà, diminuire la burocrazia, lottare contro la corruzione, dare un futuro ai giovani non è demagogia è rispondere ai bisogni. Poi, però, è necessario darsi da fare, non piangere sempre come gatti in amore.  «Chiagne e fotte» dicono a Napoli dei tipi così.

Bisogna farlo smettendo di bluffare, senza rilanciare sempre come se fosse una partita di poker. Di bluffatori ne abbiamo visti tanti e i risultati si toccano con mano. Chi è chiamato a governare deve risolvere i problemi punto e basta, sarà poi il popolo sovrano a giudicare.  
E l’opposizione che fa? Riproduce il solito copione, “tu dici una cosa a me, io dico una cosa a te”, teatrino, solo teatrino, ridotto a dichiarazioni da trenta secondi e twitter che non dicono più niente.  È indubbio che occorra difendersi dalla menzogne e dalle accuse ma questo non basta. O l’opposizione rilancia una sua proposta rispetti ai temi che ho elencati oppure è condannata alla estinzione, perché se si accetta la logica del “circo” vince sempre  il clown che per una stagione raccoglie tanti applausi e dopo che è venuto a noia colleziona solo insulti.

Paolo Brandi

martedì 14 agosto 2018

DITE PURE CHE SONO RAZZISTA…..

Posso essere accusato di molte nefandezze ma non di essere razzista, non credo che esistano razze, ma uomini e ritengo che le persone debbano essere giudicate non dal colore della pelle, ma dai comportamenti.
Per questo mi è difficile parlare di certe cose, il rischio di essere frainteso è grande. Accetto l’azzardo e dico le cose che penso.
Lo spunto me l’ha dato la vicenda della capotreno che al microfono avrebbe detto: «I passeggeri sono pregati di non dare monete ai molestatori. Scendete perché avete rotto. E nemmeno agli zingari: scendete alla prossima fermata, perché avete rotto i c...».
Apriti cielo e spalancati terra, sono partire accuse di razzismo, xenofobia, richiami all’apartheid e chi più ne ha, più ne metta.
La capotreno ha sbagliato e quindi non è, come dice qualcuno, meritevole di un premio. Certe cose, in questo paese, si possono pensare ma non urlare a un microfono, specie se si è dipendenti di un servizio pubblico.
Nonostante questo non credo che si tratti di razzismo, è questo lo sbaglio che una parte dell’intellighenzia (di sinistra) di questo paese continua a fare.  
Parliamoci chiaro, c’è una fetta di Italia che è razzista, che ritiene che i bianchi siano stati creati per comandare e i neri per servire. Salvo poi, quando arrivano gli sceicchi pieni di soldi e o i dittatori africani carichi d’oro, mettersi proni in attesa della mancia, ma così va il mondo.
Il caso della capotreno è diverso, il suo non è razzismo, è esasperazione.
La stessa esasperazione che ha portato tante persone, anche nella nostra Toscana, a votare per la Lega.

mercoledì 1 agosto 2018

IL SOLDATO PETER PAN



Qualche giorno fa sono andato a visitare il sacrario del Grappa. Era un impegno che avevo preso con me stesso mentre stendevo le ultime righe della mia tesi sul monumento ai caduti di Castiglion Fiorentino.
I morti castiglionesi sono sparsi su tutto l’arco del fronte ma in particolare nell’altopiano di Asiago, sul Montello e sul massiccio del Grappa. È partita da lì l’idea di una sorta di pellegrinaggio.  
Non sono andato in bicicletta, nonostante molti ardimentosi si cimentino sui trenta chilometri di salita spietata che portano alla cima, però anche in auto, quando si arriva, sembra di stare in un altro mondo. Saranno le suggestioni della storia o l’aria della montagna però ci si ritrova per un attimo fuori dal tempo.
Mal realtà reclama subito il suo posto mettendoci davanti agli occhi l’immenso sacrario con le spoglie di 22.910 soldati: 12.615 Italiani e 10.295 Austroungarici.
Tra le tombe di quelli che allora erano i nemici ce ne è una che è diventata famosa, non perché contenga i resti di un generale o di un eroe ma perché il nome che la contrassegna è “Peter Pan”.


Si, avete capito bene, quel soldatino portava il nome del famoso personaggio letterario creato nel 1902 dalla fantasia dello scrittore scozzese James Matthew Barrie.
Mi sono incuriosito ed ho scoperto che un giornalista, Ferdinando Celi, aveva scritto di questo ragazzo dal nome tanto celebrato.
Anche la Croce Nera Austriaca, l’istituzione del governo di Vienna che si occupa delle sepolture militari, aveva fatto delle ricerche ed è venuto fuori che Peter Pan non era austriaco ma ungherese. Apparteneva alla 7/a Compagnia del 30/o Reggimento Fanteria Honvèd ed era morto il 19 settembre del 1918 durante un'azione a Col Caprile una delle cime che fanno da contorno al Monte Grappa.
Chi era Peter Pan?