Diceva Albert O. Hirschman che "non c'è peggior categoria di
politici di coloro che credono di sapere sempre come stanno le cose, senza
bisogno di confrontarsi con chi non la pensa come loro poiché, oltre ad aver la
mente chiusa al dubbio e all'apprendimento, hanno la supponenza di chi non ha
nulla da imparare".
Quelle parole mi risuonano in testa come una campana a lutto. Quanta
ragione e quanta difficoltà nell'applicare quella dote che si chiama Umiltà. Umiltà
nello smettere di pensare che ragione e verità stiano da una parte sola, umiltà
come servizio nel mettere se stessi e le proprie azioni a disposizione degli altri.
E’ un esercizio difficile lo so, basta vedere come l’agire politico che, per sua natura, dovrebbe essere finalizzato al bene comune, e dunque non
avere bisogno di esaltazioni su face book, instagram e chi più ne ha più ne metta, diventi sempre più spesso spettacolo per coprire
il vuoto d’idee e proposte.
Dobbiamo scendere dal piedistallo e tornare a immergerci nella vita
reale delle persone: quelle che prendono il treno dei pendolari, quelle che
fanno la fila allo sportello ella USL, quelle che vanno nei supermercati a fare la spesa, quelle che arrivavano a
stento a fine mese, quelle che pagano il 47% del proprio reddito in tasse,
quelle che non capiscono perchè la bolletta del gas costa più di tasse che di
consumi. L’elenco potrebbe continuare a lungo: lotta ai privilegi, prezzo dei
libri scolastici, tasse universitarie, rette degli asili nido e delle case di
riposo ma non voglio tediarvi. Umiltà e dedizione due vocaboli che sembrano
scomparsi dal nostro vocabolario politico e che invece vanno rimessi al centro.
Una proposta: per un anno, due e forse anche tre invece le Feste
dell'Unità chiamiamole feste dell'Umiltà.
Paolo Brandi