mercoledì 21 febbraio 2018

LA SCUOLA E’ UN CAMPO DI BATTAGLIA, DOVE CHI SPACCA IL MUSO A UN PROFESSORE TROVA MILLE GIUSTIFICAZIONI E CHI BOCCIA UN SOMARO DIVENTA UN AGUZZINO.



La scuola sembra diventata un campo di battaglia. 
Un campo di battaglia a senso unico, dove sempre più spesso maestri e professori sono vittime di violenze verbali e fisiche da parte di alunni e genitori.
E’ una delle tante vergognose peculiarità che contraddistinguono il nostro bel paese. Qualcuno, in vena di paragoni, dirà che in America gli studenti sparano col fucile mitragliatore, ma il fatto che negli Stati Uniti vi sia un livello endemico di violenza non giustifica le nostre cazzate.
La verità è che l’Italia riverbera nella scuola la sua anima più brutta: decadenza dei valori, svilimento dell’educazione, caduta del principio di autorità.
Tutto è possibile quando non vi sono più regole e ogni aberrazione è consentita.  
La patria potestà, l’iper-protezione diventano giustificazioni sufficienti per spaccare il muso a un professore, magari riprendendo col telefonino per ritrasmetterlo sui social.
Tutto è possibile quando personaggi dall’ignoranza abissale e talvolta dalla dubbia moralità, si permettono di valutare curriculum scolastici, pagelle, giudizi e quant’altro concorre a formare l’educazione di un ragazzo. Sarebbe come se qualcuno in sala operatoria, senza avere nessuna nozione di medicina, dicesse al chirurgo cosa fare e come comportarsi.
Lo accettereste?

Lo ripeto, è un’infamia che i nostri maestri e professori siano sottopagati, con un livello di retribuzione tra i più bassi d’Europa. Che il loro ruolo sociale sia in sostanza ridotto a zero e che tutto quello che ruota intorno alla scuola sia considerato un inutile orpello.

martedì 13 febbraio 2018

L’ITALIA NON E’ ANTIFASCISTA PER CONVINZIONE MA PER CONVENIENZA



Man mano che si avvicinano elezioni ci si riscopre antifascisti. Cioè non tutti, una parte.
Perché gli altri, pur non dichiarandosi, strizzano l’occhio ai fascisti.
Ma non a quelli col fez in testa e l’aquila sul berretto, che oggi farebbero ridere.
Strizzano l’occhio all’anima nera che in questo paese non è mai trasmigrata come si dice accada alle anime dei morti.
E quando dico “anima nera”, non intendo un’anima lorda di peccati, mi riferisco solo al colore politico. 
Più passa il tempo e più mi convinco che l’Italia è, ed è stata, nella sua stragrande maggioranza antifascista per convenienza ma non per intima convinzione.
Non parlo ovviamente del fascismo storico, nessuno con un po’ di sale nella zucca, potrebbe pensare oggi a una riedizione delle parate sui fori imperiali o alla battaglia del grano.
Il fascismo con il quale ci troviamo a fare i conti, pur nutrendosi ancora di saluti romani e del gusto ubriacante della nostalgia è un’altra cosa.
Molto più semplicemente è un distillato di sentimenti diffusi tra la nostra gente.
Perché non è vero che l’Italia non è un paese razzista, lo siamo tutti, più meno.
Perché non è vero che l’Italia è una pese accogliente, lo è per chi ha soldi ma non per i poveracci.
Perché non è vero che la violenza è disdegnata, tutt’altro.
Perché non è vero che l’Italia è un paese che cresce.
Gli indicatori economici sono bugiardi.
Ricordate Trilussa?
“da li conti che se fanno
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un pollo all'anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perch’è c'è un antro che ne magna due”.

Ed io aggiungo ci sarà anche più PIL ma gli stipendi rimangono bassi, le tasse alte, la sanità si paga, scarse le prospettive per i giovani , le periferie degradate e le case popolari non ci sono.
In tutto questo la sinistra sembra aver smarrito la sua ragion d’essere.

venerdì 2 febbraio 2018

LA LEZIONE DELLA STORIA NON E’ MAI FUORI MODA



In Polonia, per legge, si riscrive la Storia. Il parlamento polacco ha stabilito che da oggi, dentro i confini della Rzeczpospolita Polska, non si potrà più dire che l’antisemitismo è stato una componente politica nella Polonia del ventesimo secolo.
E dico politica con ragione.
L’antisemitismo polacco non era ideologico e razziale. Un polacco degli anni trenta non avrebbe mai definito gli ebrei "Untermensch" cioè sub-umani, oppure larve di un corpo in corruzione, pestilenze, calabroni scansafatiche, ragni che succhiano  il sangue delle nazioni, banda di topi, parassiti, microbi dannosi, sanguisughe e vampiri. L’antisemitismo polacco era il brodo di cultura con cui i nazionalisti nutrivano il consenso, accusando gli ebrei di essere avversari dell’identità, storica e cattolica, della Polonia.
Questa posizione politica ha portato una parte della popolazione polacca, durante l’occupazione nazista, in particolare nelle campagne, a denunciare e massacrare gli ebrei e in molti casi a rubare i loro beni.

Questi sono fatti documentati, così com’è altrettanto sicuro che moltissimi polacchi abbiano salvato gli ebrei, più che in qualsiasi altro paese dell’Europa occupata.
Tutto vero, però, se qualcuno oggi affermasse queste cose a Varsavia a Cracovia o a Lublino rischierebbe di essere processato e condannato. 
Eppure al di là di qualche blanda condanna non si farà nulla. Il problema è che non ci sono strumenti efficaci per combattere questo tipo di posizioni e forse non c’è nemmeno la convenienza. Non si spiega in altro modo la sottovalutazione (indotta e voluta) con cui si guarda a movimenti che propugnano il negazionismo, l’esaltazione della violenza, l’intolleranza. Basta affacciarsi alla finestra per accorgersi di quanto questo fenomeno sia ormai diffuso e non solo nei partiti estremisti e xenofobi.
La verità è che la parte progressista e avanzata d’Europa, in particolare in Italia, ha rinunciato da tempo  alla storia, ha rinunciato alla Paideia cioè alla educazione e alla formazione, ha rinunciato alla Weltanschauung, cioè alla sua visione del mondo.
Certo la storia va depurata dalla mitologia. Penso, per esempio, alla mitologia dell’antifascismo, perché è ben strano un paese come l’Italia, che prima del 25 luglio del 1943 era fascista, il giorno dopo si scopre, nella stragrande maggioranza, antifascista.
I mali di oggi, forse, derivano anche dal non aver fatto i conti fino in fondo col passato. Le ragioni sono tante e alcune perfino giustificabili. Di una cosa però sono certo: senza storia e senza memoria siamo destinati a vivere in un eterno presente e nel presente si guada solo all'interesse immediato. Non c’è respiro profondo nel presente. E non è nemmeno vero che per proiettarsi nel futuro bisogna cancellare quello che ci sta alle spalle.
Paolo Brandi

Trascrivo una poesia della poetessa Zuzanna Ginczanka, dedicata, guarda caso alla signora polacca che la segnalò ai nazisti per appropriarsi delle sue poche sostanze.
Forse con la nuova legge approvata in Polonia questa poesia sarebbe passibile di denuncia.

Non omnis moriar – i miei fieri beni,

I prati delle mie tovaglie, i saldi armadi,

Gli ampi lenzuoli, le coperte preziose

E gli abiti resteranno dopo di me.

Non ho lasciato qui nessuna eredità,

Le semitiche cose il tuo fiuto rintracci,

Chominowa (1), audace moglie di una spia,

Delatrice svelta, madre di un folksdojcz

Siano utili a te e ai tuoi, non ad estranei.

Voi miei cari – non sono parole vuote.

Vi ricordo, e quando arrivarono gli szupo (3),

Anche voi vi siete ricordati di me.

Che i miei amici siedano con le coppe alzate

E brindino al mio funerale e a ciò che avranno:

Kilim e arazzi, piatti, candelabri –

Bevano tutta la notte, e all’ultima stella

Comincino a cercare gioielli e oro

Nei divani, materassi, sotto i tappeti.

Oh, come lavoreranno bene e in fretta,

Nugoli di crine di cavallo e di fieno,

Nuvole di cuscini e piumini squarciati,

Le mani piumose diventeranno ali;

Il mio sangue la stoppa e le piume incollerà

E così alati in angeli si muteranno.

(1) Chominowa – Zofia Chominowa, proprietaria dell’edificio dove abitava Zuzanna Ginczanka, durante il suo soggiorno a Lwów negli anni 1939-1942. La Chominowa e suo figlio Marian furono accusati di delazione nei confronti della poetessa. Nel processo svoltosi a Varsavia a novembre del 1948, Marian Chomin fu assolto. Zofia Chominowa invece fu condannata a quattro anni di reclus