Si
avvicina il 4 novembre, una data un tempo festiva, che, quest’anno, per puro
caso, capita di domenica. Purtroppo, una legge “sciagurata”, l’ha trasformata
in una di quelle che sono definite “festività mobili, cioè quelle giornate di
celebrazione che ricadono nel giorno festivo immediatamente successivo a quello
ufficiale.
Un
tempo il 4 novembre si celebrava la vittoria nella prima Guerra Mondiale, oggi
più prosaicamente si è trasformata nella festa dell’Unità nazionale e delle
Forze Armate.
A
me piace ricordarla alla vecchia maniera, perché altrimenti non si comprenderebbe
il perché, quest’anno, via sia un così grande fervore nel volerla celebrare. Il
motivo è presto detto: sono trascorsi esattamente 100 anni dalla fine della
Grande guerra.
Un
conflitto che in tre anni costò all'Italia qualcosa come 650.000 morti e a una comunità
come quella castiglionese, che all'epoca contava più o meno come oggi, 13.000
abitanti, 368 caduti e dispersi. Un costo
enorme in termini di vite spezzate, dolori e rinunce.
Una
guerra che è rimasta impressa nella memoria collettiva e che è commemorata in
quasi tutti i paesi da monumenti e lapidi.
Castiglion
Fiorentino la ricorda con una targa commemorativa nella facciata della Chiesa
di Montecchio, con i monumenti di Brolio, Castroncello e Manciano e con due steli
che rimandano alla memoria dei caduti della Venerabile Arciconfraternita di
Misericordia e del Collegio Serristori.
Ma
la ricorda soprattutto con il grande monumento ai caduti ubicato nei giardini
pubblici.
Studiando
le vicende che hanno portato alla realizzazione di quest’opera ho svelato, come
ricorda il giornale La Nazione, due piccoli misteri.
Il
primo è che nelle cronache dell’epoca i caduti castiglionesi erano indicati in
269, poi grazie al lavoro certosino, portato avanti nel 2002, del nostro concittadino
Remo Ghezzi, viene fuori che i caduti castiglionesi erano stati ben 338. Mi
sono domandato il perché di questa difformità. Consultando le cronache del
tempo, si parla dell’anno 1923, si scopre che in questo triste computo non
erano stati riportati i dispersi e chi era deceduto nei campi di prigionia o, a
guerra finita, negli ospedali militari.
La
burocrazia è spietata e fin quando non c’è una certificazione, oppure è
trascorso un certo numero di anni non si può dichiarare qualcuno definitivamente
scomparso. Immaginiamo che in molte
famiglie il fatto che i loro congiunti non fossero stati dichiarati
ufficialmente morti, alimentasse la segreta
speranza che qualcuno potesse tornare dalle lontane terre della Galizia o di
Pannonia, laddove i nostri soldati erano stati imprigionati.
Il
secondo mistero è per certi versi ancor più intrigante. Leggendo i verbali del
comitato che presiedeva alla realizzazione del monumento, si scopre che dietro
la targa in bronzo che rappresenta S. Michele, posta sul basamento della scultura, era stata realizzata
una teca, contenete una pergamena, con scritti i nomi dei 269 caduti. Un fatto,
questo, di cui a Castiglioni si era persa la memoria. Si tratta di una sorta di
capsula del tempo destinata, nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa, a
perpetuare nei secoli i nomi dei gloriosi caduti. Oggi, che sappiamo quell'elenco
essere incompleto, è sembrato doveroso aggiornarlo. Così una nuova pergamena,
contenete stavolta i nomi dei caduti mancanti, sarà posta anch'essa nella base
del monumento a perpetuare la memoria dei giovani castiglionesi che sacrificarono
la vita in quell'immane conflitto.
Paolo Brandi
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