mercoledì 31 ottobre 2018

RIPARTIRE DAI PIÙ DEBOLI. LA LEZIONE DI ROSSANA E BETO VALE ANCHE PER LE AMMINISTRATIVE DEL 2019


Rossana Rossanda in un’intervista ha detto: "Colpa nostra se vince Salvini, la sinistra ha deluso le speranze" ed ha aggiunto “milioni di persone votavano a sinistra perché nel suo DNA c’era la difesa dei più deboli. Questo non lo pensa più nessuno”.
Già m’immagino qualche commento: “roba antica, da una signora di 94 anni, con tutto il rispetto, non ci si può aspettare che nostalgie e vecchi ricordi. Oggi quello che conta non è quello che fai, ma quello che dici e soprattutto come lo dici.”  Forse non è proprio così se Beto O’Rourke, considerato l’astro nascente dei democratici americani, ha affermato, riguardo al suo avversario repubblicano “Cruz è ricco, pensa ai soldi. Si preoccupa di difendere chi ha i soldi come lui. Io invece mi occupo di tutti, anche di chi è in difficoltà. Questa è la principale differenza tra me e lui”.
Due punti di vista lontani? Non mi pare. Eppure quella signora è nata nel 1924 e Beto nel 1972.  Tra loro c’è quasi mezzo secolo di differenza. Eppure sostengono più o meno la stessa cosa a dimostrazione che i valori non invecchiano.

Il problema è che la sinistra italiana lacerata tra un’identità incerta, quella del PD, e un estremismo a tratti autolesionista, non è più in grado di esprimere valori. Ha perso la capacità di elaborare quelli che Berlinguer chiamava “pensieri lungi”, in grado di guardare oltre l’orizzonte per indicare la strada. Al loro posto il vuoto mascherato da un diluvio di parole, un’alluvione di banalità che alla fine ha rotto gli argini travolgendo tutto dall'alto al basso, imprigionando in una palude di piccole rivalse, personalismi e  ripicche anche la politica locale.   
Veniamo alle nostre questioni locali. Anche qui come in larga parte della Toscana abbiamo perso parecchio, bruciando, senza vergogna, un patrimonio di voti, pensieri e passioni. Le prossime elezioni amministrative saranno come la linea del Piave. Se reggiamo, possiamo sperare di andare vanti, se l’avversario sfonda, rischia di dilagare. Tuttavia non si regge all'offensiva facendo appello ai buoni sentimenti, al “volemose bene”. I fanti italiani ressero alle armate austroungariche perché, oltre al sentimento patriottico, possedevano cannoni e mitraglie.
I nostri cannoni non sono d’acciaio, stanno tutti dentro la nostra testa e si chiamano idee. Per esempio è ora di farla finita di piangere sul fatto che i comuni non possono fare niente, stretti tra le richieste dei cittadini e la scarsità delle risorse.  E’ nelle difficoltà che si misura il talento di un amministratore. Ci vogliono programmi e insieme a questi ultimi sono necessari uomini e donne credibili.
Ripartiamo da quello che la vecchia Rossana e il giovane Beto dicono. “dalla difesa dei più deboli”. Non è difficile, basta volerlo fare. Sociale, ambiente, sicurezza, lavoro sono tutte questioni che riguardano i meno garantiti perché i ricchi non ne hanno bisogno.
C’è poi la questione della credibilità, qui mi dispiace dirlo ma già pronunciare il nome del PD fa calare i consensi. Non dico che sia giusto ma è così. Il PD dovrebbe imparare la lezione delle piene del Nilo nell'antico Egitto. Deve imparare a ritirarsi, recuperando la sua funzione originale, quella, come dice la costituzione di “concorrere a determinare la politica”. Concorrere è una bella parola perché lascia aperte tante opportunità di collaborazione e cooperazione con altri soggetti che non siano necessariamente i partiti. La politica, specialmente nei nostri comuni, ha necessità di rigenerarsi, un pò come avviene a una batteria che ha esaurito l’energia, deve mettersi sotto carica. 
Quando il Nilo ritornava nel suo alveo lasciava dietro di se distese di terreno fertile, allo stesso modo i partiti, tornando alla loro funzione originale, possono contribuire a far crescere una messe di nuove idee.     

Paolo Brandi

lunedì 29 ottobre 2018

I CAMPI DI STERMINIO RIDOTTI A PARCO GIOCHI. LA BANALITÀ DELL’IDIOZIA



Il 28 ottobre, anniversario della “Marcia su Roma”, si sono radunati, in quel di Predappio, qualche migliaio di fascisti, non trovo altro termine per definirli e non credo che i partecipanti lo considerino offensivo.
Non mi meraviglia che, ancor oggi, dopo quasi 100 anni, tante persone si riuniscano per celebrare quello che si può considerare l’avvio della dittatura nel nostro paese. Non mi meraviglia perché l’Italia non ha mai fatto i conti con la propria storia. Questo paese tende a digerire di tutto, un pò come accade ai biodigestori che dagli scarti organici (compreso il letame), ricavano energia.
Diciamo la verità quei conti non sono stati fatti perché il fascismo, non quello folkloristico dei fez e delle aquile sul berretto, è connaturato alla nostra storia.
L’unico che capì da subito come stavano le cose fu Gramsci che nel 1921 scrisse: “Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato”.


Ma di quella lezione non è rimasto niente e aver ignorato quest’aspetto è una delle grandi colpe dei partiti. In oltre settanta anni di Repubblica, a destra come a sinistra, si è evitata una pedagogia della democrazia preferendo invece la gestione del potere. E i risultati si toccano con mano.
Ma non è questo il punto che voglio rilevare. Quello che mi ha spinto a scrivere queste riflessioni è stata la “goliardata” di una signora, di cui per carità di patria non cito il nome, la quale si è presentata a Predappio con una maglietta con la scritta "Auschwitzland”, fatta coi caratteri della Disney e accompagnata dal disegno del campo di concentramento. Insomma il campo di sterminio trasformato a parco giochi.
La signora intervista ha risposto che trattasi di “humor nero". Che sia nero non c’è dubbio che faccia ridere è da dimostrare. Per di più alla domanda se sapesse che ad Auschwitz sono state ammazzate più di un milione di persone, ha risposto che “è stata un’esagerazione, una cosa sbagliata, dei nazisti”. Come se il problema fosse che ne hanno gassati troppi, insomma una questione di numeri e basta.
Il pericolo sta tutto lì, nel banalizzare, nel ridurre tutto a una “goliardata” infarcita di imbecillità. Ormai siamo portati a giustificare ogni cosa sulla base di un relativismo etico e storico che fa perdere di vista i valori. Tolleriamo qualunque stupidaggine in nome della leggerezza del vivere e, mi verrebbe da dire, del quieto vivere.
Tutto questo fa il paio con la perdita di autorità delle istituzioni, il declassamento della scuola, il menefreghismo imperante, in nome di una libertà che alla lunga si trasforma in sopraffazione. Attenzione, quando dico queste cose, non penso solo alla destra che cavalca antiche e nuove paure, penso anche a una parte di sinistra che, in nome di una sociologia d’accatto, scagiona ogni eccesso, compresi quelli di chi delinque e non rispetta leggi e valori della convivenza. Insomma a partire da quella maglietta immorale ci sono motivi di riflessione per tutti. 
E ora potete pure sputarmi addosso, da destra e da sinistra.

Paolo Brandi


sabato 27 ottobre 2018

Centro sinistra unito per Castiglioni Riceviamo e pubblichiamo.




In vista delle prossime elezioni amministrative, che saranno indette per la primavera prossima, ci accingiamo a presentare la lista del centro sinistra, aperta a tutte le forze politiche che si riconoscono in un progetto democratico, progressista e riformista.
E’ per questo motivo, che in un momento di crisi dei partiti storici che sono percepiti come inadeguati a rappresentare la collettività, desideriamo proporre una svolta per il riscatto della politica, attingendo alle forze migliori della società e proponendo un modello nuovo, rappresentato da uomini nuovi, che trovi la sua forza nel rapporto diretto con tutta la comunità, ma in cui il primo obiettivo da raggiungere dovrà essere quello di innalzare per tutti, la qualità e il livello della competizione elettorale.

Tutto questo può essere fatto riconquistando la fiducia delle persone intorno ad un progetto amministrativo in grado di dare risposte ai bisogni dei cittadini.

Questi saranno i nostri obbiettivi:
-      rafforzare il welfare locale impegnandosi a sviluppare l’economia ed il lavoro, salvaguardando l’ambiente, il diritto alla salute ed il rispetto dei diritti umani;
-      garantire la sicurezza della comunità con un controllo efficace del territorio aumentando le sinergie tra polizia locale e forze dell’ordine;
-      offrire un futuro alle giovani generazioni, tutelando gli anziani e le famiglie

In questo senso ci impegneremo per il comune di Castiglion Fiorentino, a costruire un percorso che vada nella direzione di sostenere un progetto amministrativo in grado di coinvolgere tutti i cittadini, riavvicinando i giovani e collaborando con le imprese e con il mondo del volontariato.

Tutto ciò per restituire slancio a una comunità che vuole uscire dalle contrapposizioni sterili, recuperando finalmente lo spirito civico e solidale che ha sempre contraddistinto Castiglion Fiorentino

Le forze politiche che sottoscrivono :

-CENTRO DEMOCRATICO-POPOLARI
-LIBERI E UGUALI
-PIU’ EUROPA
-PARTITO SOCIALISTA
-PARTITO DEMOCRATICO

Castiglion Fiorentino 27/10/2018

domenica 21 ottobre 2018

POLITICA, BRUTTA PAROLA. I ROMANI CI INSEGNANO, SE POI NON VOGLIAMO IMPARARE SONO CAVOLI NOSTRI


Tutti parlano, parlano e ciarlano, ciarlano e parlano, eppure basterebbe citare alcuni brevi motti, ricavati dalla saggezza latina per capire il senso delle cose e provare a rimediare ai danni fatti:
Parvum parva decet: Le piccole preoccupazioni fanno parlare quelle grandi lasciano muti.
Smettiamo dunque di pensare che i piccoli problemi quotidiani non contino nulla di fronte al formarsi di un’opinione sociale. Fa molto più danno vedere qualcuno che non paga il biglietto su di un treno e con arroganza si ribella al controllore che cento discorsi da un palco.
Parvula despiciens conquirit maxima nunquam: Disprezzando le piccole cose non si conquistano quelle grandi.
Non è sottovalutando le cose che pesano nella vita della gente comune: le liste di attesa a un pronto soccorso, le difficoltà a pagare un mutuo, la sofferenza di non avere i denari per mandare il figlio all’asilo nido,  una pensione che non consente di pagare contemporaneamente le bollette e una visita specialistica, che si raggiungono i grandi obbiettivi. Perché, in democrazia, le spinte che arrivano dal basso sono importanti quanto le teorie dei grandi pensatori.

Parvus pendetur fur, magnus abire videtur: il piccolo ladro viene impiccato mentre il grande viene visto fuggire.
Non possiamo non considerare la sete di giusta della gente, un moto che qualcuno ha trasformato furbescamente in una rivolta disordinata. La lotta ai privilegi, alla diseguaglianza, all’opulenza che diventa spreco è nel DNA della sinistra, perché l’abbiamo persa? Cominciamo a darci delle risposte e forse troveremo la strada.  
Patria mea totus hic mundus est: La mia patria è tutto questo mondo. Questo è un concetto bello ma complicato, se non lo colleghiamo con un altro e cioè Patria est ubicumque est bene: La patria è dove si sta bene. E se dentro questi schemi che si chiamano globalizzazione, multiculturalità, la gente si sente insicura, impaurita dobbiamo capire come rimediare. Perchè altrimenti prende ragione chi vuol tornare alle piccole patrie, che è come dire andiamo fare le comparse nel palcoscenico della storia. Tuttavia non possiamo nemmeno pretendere di fare gli attori abdicando ai nostri valori, alla nostra cultura, alle nostre tradizioni.
I nostri antenati avevano capito molte cose che oggi noi tendiamo a dimenticare. Non vogliamo ragione di siffatte questioni con spirito libero e senza schemi pre-costituiti? Benissimo, “ognun per se e Dio per tutti”. Però Il pericolo l’abbiamo davanti agli occhi: quello che per rabbia, disperazione, rassegnazione o vacua speranza si affidi l'ovile pieno al lupo di montagna: Plenum montano credis ovile lupo.
Con tutto quello che ne consegue.

Paolo Brandi


lunedì 15 ottobre 2018

FARE ANALISI POLITICA NEL PD E’ COME PORTARE UN CANE IN CHIESA. I numeri aretini del Congresso Regionale



Da qualche tempo parlare di “analisi” nel Pd è come portare un cane in chiesa. Dopo le batoste subite nessuno ha sprecato un grammo di cervello per cercare di capire quello che, per esempio, era successo in Toscana, dove abbiamo perso, insieme a molti altri, quasi tutti i comuni capoluogo. La spiegazione è semplice, cercare di capire le ragioni delle sconfitte, analizzarle, vuol dire riconoscere che una linea politica ha fallito, con tutto quello che ne consegue.
Le analisi si fanno sui numeri per questo, oggi, metto sotto la lente d’ingrandimento il voto per il segretario regionale del PD. Per altro, la cervellotica invenzione di far votare prima gli iscritti e in seguito gli iscritti più gli elettori, consente di fare un’analisi comparata interessante.
Vediamo quello che è successo in provincia di Arezzo.
Il primo dato che dovrebbe preoccupare tutti, renziani e non renziani è la scarsa, per usare un eufemismo, partecipazione al voto. Alla prima tornata (quella degli iscritti) hanno votato in 994 su 3584 aventi diritto, cioè il 27,7%. In un partito questa percentuale è da suicidio. Se la “ditta” non riesce a far votare il 50 più 1 dei soci per il proprio amministratore delegato vuol dire che si è prossimi al collasso.
Alla seconda elezione, quella che vedeva coinvolti oltre agli iscritti, anche gli elettori, hanno votato in provincia di Arezzo 3257 persone, che in percentuale rappresentano circa 1,2 per cento degli aventi diritto.
Queste cifre dovrebbero far rizzare le antenne. 

Pur comprendendo la legittima felicità di alcuni e lo sconforto di altri, vorrei dire che stiamo ragionando del sesso degli angeli.  La cosa più preoccupante è che questo “niente” alla fine, avrà un peso, perché la figura del segretario regionale non è e non sarà neutrale rispetto a quello che accadrà dopo.
Tornando agli aspetti aretini un dato emerge con una certa nettezza, pur con  numeri risicati, sembra esseri rotta la macchina da guerra “renziana”. Il dato più interessante in questo senso è che mentre Simona Bonafè tra gli iscritti aretini aveva ottenuto un lusinghiero 62,69 %, alle primarie aperte ha ottenuto il 54,1%.  Che significa? Potrebbe voler dire che mentre nel partito, il controllo di alcune zone nevralgiche, leggi in particolare la città di Arezzo, consente di tenere alto il livello di consenso per i candidati renziani, quando al voto vanno gli elettori, le cose cambiano. Non in maniera clamorosa ma cambiano, da non sottovalutare che Renzi, da queste parti, arrivava all’80% alle primarie. In verità questo paragone regge poco, perché in quel caso si trattava di primarie nazionali, con tutto quello che ne consegue in termini di visibilità e partecipazione.
Ma tutto questo, alla luce di quanto sta succedendo in giro, sembra un gioco di società. Parliamoci chiaro queste elezioni consegnano alla nuova segretaria una brutta gatta da pelare. Non tanto per i numeri, alla fine la Bonafè in Toscana ha vinto bene, i dolori arrivano mirando alle prospettive.

mercoledì 10 ottobre 2018

ZULLO CONTINUO



Zullare, come si dice in aretino, è diventata la parola d’ordine, si zulla su tutto dalle cose serie a quelle meno serie. 

Divertirsi, ridere e scherzare non è male, anzi dicono i medici che fa bene alla salute, ma alla fine qualcun altro si occuperà, al vostro posto , delle cose serie e da quel momento non ci saranno scuse.

martedì 9 ottobre 2018

IL VOTO PER IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PD. QUELLO CHE I NUMERI DICONO E QUELLO CHE LA POLITICA NON DICE


Come sapete, alla consultazione per individuare il segretario regionale del PD, mi sono astenuto, le ragioni le ho già spiegate e non voglio tornarci sopra. Il 14 ottobre prossimo, quando, oltre agli iscritti, saranno chiamati a votare anche gli elettori, vedrò cosa fare.
Di sicuro non mi entusiasma questa specie di referendum tra pro e contro, tra chi sposa, con convinzione, Renzi e la sua politica e chi si oppone a una riedizione del renzismo in salsa toscana.
Tuttavia una cosa la devo dire, a costo di inimicarmi qualcuno: in Toscana abbiamo perso (dico abbiamo e non hanno), tutto quello che si poteva perdere. Si è perso e nessuno se n’è assunto la responsabilità, anzi in parecchi se la sono cavata munendosi di paracadute grossi come il cupolone del Brunelleschi.
Detto in altre parole un allenatore e uno staff tecnico che prendono una squadra in seria A e la trascinano in serie D di solito sono esonerati a furor di popolo. Invece, qui, è avvenuto il contrario, si è continuato ad allenare, pretendendo che a sbagliare siano stati gli arbitri e i guardalinee.
Ma queste beghe mi hanno stufato, voglio parlare di altro.
I commenti giornalistici, sulla consultazione del PD, hanno tutti sostenuto che la “renziana” Bonafè ha stravinto ad Arezzo e provincia. In effetti, quando si prende il 62,35 % dei voti, si può legittimamente parlare di una grande vittoria.
I commentatori hanno però tralasciato alcuni aspetti che mi pare giusto indicare. Parto sempre dai numeri perché, come ebbe a dire il ministro Bernardino Grimaldi “la matematica non è una opinione”.
Un pò più di un anno fa, esattamente il 3 maggio 2017, Arezzo si scoprì come una delle capitali nazionali del renzismo. Con l’81 per cento dei voti per Renzi segretario.
Da allora la situazione sembrerebbe essere cambiata, uso il condizionale perché non escludo che il voto popolare del 14 ottobre, possa rimettere in capo alla candidata Bonafè quelle straordinarie percentuali.
Ma non è questo il punto. Quello che dovrebbe preoccupare tutti, renziani, non renziani, ortodossi e protestanti, è il dato di affluenza degli iscritti. Cioè di quelli che in teoria sarebbero più motivati a scegliere il segretario regionale.
In provincia di Arezzo parliamo di un magro 27,7 per cento di partecipazione al voto, una vera miseria. Che significa? Per me significa non solo che non esiste più un’organizzazione ma soprattutto che i militanti, così si chiamavano un tempo, si sono rotti le scatole di votare in elezioni che hanno  senso solo per il ceto politico.
Come si fa a votare a scatola chiusa? Senza un programma serio, senza discussione, senza un approfondimento sul futuro della Toscana? Tutto è fidelizzato, come se gli iscritti al PD dovessero compre una marca di frigorifero, invece di un’altra.
L’altro aspetto che i commentatori non hanno evidenziato è che se si estrapolasse (ma non sarebbe corretto) il dato della città di Arezzo, Fabiani e la Bonafè sarebbero quasi alla pari, con uno scarto di 36 (trentasei) voti tra l’europarlamentare e il suo semisconosciuto avversario.
-Perché- direbbe qualcuno -vuoi tirar via il dato di  Arezzo capoluogo? Proprio Arezzo, dove la Bonafè fa il pienone con l’84% dei voti staccando il suo avversario in maniera netta, con 238 voti a 45? Proprio Arezzo dove la Bonafè migliora il dato, pur straordinario, del voto a Renzi di un anno fa? Sei troppo furbo caro Brandi.-
No, non voglio fare il furbo, la mia era una semplice  considerazione sui numeri. Perché se i risultati della provincia sono diversi, evidentemente il dato della città segnala un disallineamento, il che non vuol dire per forza che sia una cosa negativa, si tratterebbe in ogni caso, di capire il motivo.
Paolo Brandi

domenica 7 ottobre 2018

I PROFESSIONISTI DELL’ INFORMAZIONE CHE TRASFORMANO IL RE CARNEVALE NEL RE SOLE


Se tutto si consuma in fretta, in fugaci immagini, in corbellerie spacciate per cose serie, se tutto diventa chiacchera senza memoria, la colpa non è di chi, per calcolo o incapacità, fa il buffone o lancia segnali che ricordano quelli del “caudillo Peron”.
No, signori cari, la colpa non è loro. Quelli fanno il loro mestiere, si difendono con le armi che hanno. La colpa, se vogliamo dirla tutta, è di chi, dalle grandi città alle nostre piccole comunità, non sente un moto di rigetto, la colpa è di chi, pur avendo argomenti, sta zitto, la colpa è di chi, e qui ci metto il carico da undici, pur facendo per mestiere informazione, mette sul  trono “re carnevale” facendolo passare come il Re Sole.

Il mio non vuol essere un ragionamento di parte, di esempi del deterioramento della intelligenza ne troviamo a bizzeffe a destra quanto a sinistra. Quello che mi preoccupa è il silenzio, che non è il silenzio degli innocenti ma dei colpevoli. Il silenzio in questo caso non è d’oro, il silenzio è pavidità, illusione che le cose cambino da sole. Che errore! Le cose mutano non perché a noi ripugnano, le cose cambiano, o meglio possono cambiare, solo con l’impegno, la dedizione, il lavoro. Possono cambiare se c’è passione nel fare le cose e non mero calcolo. Oggi mi sento pessimista, però, come diceva Scarlett O'Hara in “Via col vento”,
-Dopotutto, domani è un altro giorno.-
Paolo Brandi