lunedì 15 ottobre 2018

FARE ANALISI POLITICA NEL PD E’ COME PORTARE UN CANE IN CHIESA. I numeri aretini del Congresso Regionale



Da qualche tempo parlare di “analisi” nel Pd è come portare un cane in chiesa. Dopo le batoste subite nessuno ha sprecato un grammo di cervello per cercare di capire quello che, per esempio, era successo in Toscana, dove abbiamo perso, insieme a molti altri, quasi tutti i comuni capoluogo. La spiegazione è semplice, cercare di capire le ragioni delle sconfitte, analizzarle, vuol dire riconoscere che una linea politica ha fallito, con tutto quello che ne consegue.
Le analisi si fanno sui numeri per questo, oggi, metto sotto la lente d’ingrandimento il voto per il segretario regionale del PD. Per altro, la cervellotica invenzione di far votare prima gli iscritti e in seguito gli iscritti più gli elettori, consente di fare un’analisi comparata interessante.
Vediamo quello che è successo in provincia di Arezzo.
Il primo dato che dovrebbe preoccupare tutti, renziani e non renziani è la scarsa, per usare un eufemismo, partecipazione al voto. Alla prima tornata (quella degli iscritti) hanno votato in 994 su 3584 aventi diritto, cioè il 27,7%. In un partito questa percentuale è da suicidio. Se la “ditta” non riesce a far votare il 50 più 1 dei soci per il proprio amministratore delegato vuol dire che si è prossimi al collasso.
Alla seconda elezione, quella che vedeva coinvolti oltre agli iscritti, anche gli elettori, hanno votato in provincia di Arezzo 3257 persone, che in percentuale rappresentano circa 1,2 per cento degli aventi diritto.
Queste cifre dovrebbero far rizzare le antenne. 

Pur comprendendo la legittima felicità di alcuni e lo sconforto di altri, vorrei dire che stiamo ragionando del sesso degli angeli.  La cosa più preoccupante è che questo “niente” alla fine, avrà un peso, perché la figura del segretario regionale non è e non sarà neutrale rispetto a quello che accadrà dopo.
Tornando agli aspetti aretini un dato emerge con una certa nettezza, pur con  numeri risicati, sembra esseri rotta la macchina da guerra “renziana”. Il dato più interessante in questo senso è che mentre Simona Bonafè tra gli iscritti aretini aveva ottenuto un lusinghiero 62,69 %, alle primarie aperte ha ottenuto il 54,1%.  Che significa? Potrebbe voler dire che mentre nel partito, il controllo di alcune zone nevralgiche, leggi in particolare la città di Arezzo, consente di tenere alto il livello di consenso per i candidati renziani, quando al voto vanno gli elettori, le cose cambiano. Non in maniera clamorosa ma cambiano, da non sottovalutare che Renzi, da queste parti, arrivava all’80% alle primarie. In verità questo paragone regge poco, perché in quel caso si trattava di primarie nazionali, con tutto quello che ne consegue in termini di visibilità e partecipazione.
Ma tutto questo, alla luce di quanto sta succedendo in giro, sembra un gioco di società. Parliamoci chiaro queste elezioni consegnano alla nuova segretaria una brutta gatta da pelare. Non tanto per i numeri, alla fine la Bonafè in Toscana ha vinto bene, i dolori arrivano mirando alle prospettive.

Questo PD, guardando ai numeri della partecipazione, sembra comatoso e questo non è un buon viatico per i prossimi appuntamenti elettorali. 
Adesso si approssima un’altra scadenza quella del congresso nazionale. Tutti i commentatori confidano che sia un congresso “vero”, quasi a rilevare che quelli precedenti fossero “finti”. Finti non sulla legittimità sia chiaro, ma sul fatto che a furia di tatticismi, di posizionamenti, di paure e di politiche sbagliate il Pd si è trovato spiaggiato come una Balena. Io spero che il congresso nazionale, cosa che non è stato quello regionale, dica davvero qualcosa su quello che si vuol fare. Rimango, infatti, dell’idea che non ci sono santi taumaturghi in grado di rimettere in piedi la baracca se non si rientra in sintonia con la gente. Provocatoriamente avevo detto che per far ripartire la locomotiva, un macchinista solo non era sufficiente, avevo fatto i nomi di Massimo Cacciari, di Roberto Saviano e Fabrizio Barca. Oggi aggiungerei quello di Alberto Angela. Non perché tutto debba fare spettacolo ma perché nel PD, mi dispiace dirlo, mi pare che manchino l’intelligenza immaginifica di un filosofo, la passione civile di uno scrittore, le competenze di un economista fuori dalle righe e la memoria di uno storico. Vedremo quello che accadrà, certo che se guardiamo ai numeri del congresso regionale c’è da mettersi le mani nei capelli.

Paolo Brandi

Nessun commento:

Posta un commento