Il 28 ottobre, anniversario
della “Marcia su Roma”, si sono radunati, in quel di Predappio, qualche
migliaio di fascisti, non trovo altro termine per definirli e non credo che i partecipanti
lo considerino offensivo.
Non mi
meraviglia che, ancor oggi, dopo quasi 100 anni, tante persone si riuniscano
per celebrare quello che si può considerare l’avvio della dittatura nel nostro
paese. Non mi meraviglia perché l’Italia non ha mai fatto i conti con la
propria storia. Questo paese tende a digerire di tutto, un pò come accade ai
biodigestori che dagli scarti organici (compreso il letame), ricavano energia.
Diciamo la
verità quei conti non sono stati fatti perché il fascismo, non quello
folkloristico dei fez e delle aquile sul berretto, è connaturato alla nostra
storia.
L’unico che capì
da subito come stavano le cose fu Gramsci che nel 1921 scrisse: “Il fascismo si
è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha
dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità
politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi,
dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è
identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo
italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla
convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato”.
Ma di quella
lezione non è rimasto niente e aver ignorato quest’aspetto è una delle grandi colpe
dei partiti. In oltre settanta anni di Repubblica, a destra come a sinistra, si
è evitata una pedagogia della democrazia preferendo invece la gestione del potere.
E i risultati si toccano con mano.
Ma non è questo
il punto che voglio rilevare. Quello che mi ha spinto a scrivere queste riflessioni
è stata la “goliardata” di una signora, di cui per carità di patria non cito il
nome, la quale si è presentata a Predappio con una maglietta con la scritta "Auschwitzland”,
fatta coi caratteri della Disney e accompagnata dal disegno del campo di
concentramento. Insomma il campo di sterminio trasformato a parco giochi.
La signora
intervista ha risposto che trattasi di “humor nero". Che sia nero non c’è dubbio
che faccia ridere è da dimostrare. Per di più alla domanda se sapesse che ad
Auschwitz sono state ammazzate più di un milione di persone, ha risposto che “è
stata un’esagerazione, una cosa sbagliata, dei nazisti”. Come se il problema
fosse che ne hanno gassati troppi, insomma una questione di numeri e basta.
Il pericolo sta
tutto lì, nel banalizzare, nel ridurre tutto a una “goliardata” infarcita di
imbecillità. Ormai siamo portati a giustificare ogni cosa sulla base di un relativismo
etico e storico che fa perdere di vista i valori. Tolleriamo qualunque stupidaggine
in nome della leggerezza del vivere e, mi verrebbe da dire, del quieto vivere.
Tutto questo fa
il paio con la perdita di autorità delle istituzioni, il declassamento della scuola,
il menefreghismo imperante, in nome di una libertà che alla lunga si trasforma
in sopraffazione. Attenzione, quando dico queste cose, non penso solo alla
destra che cavalca antiche e nuove paure, penso anche a una parte di sinistra
che, in nome di una sociologia d’accatto, scagiona ogni eccesso, compresi
quelli di chi delinque e non rispetta leggi e valori della convivenza. Insomma
a partire da quella maglietta immorale ci sono motivi di riflessione per
tutti.
E ora potete
pure sputarmi addosso, da destra e da sinistra.
Paolo
Brandi
Nessun commento:
Posta un commento