giovedì 16 febbraio 2017

PD: LA NAVE AFFONDA E L’ORCHESTRA SUONA. A ROMA E AD AREZZO CI VUOLE UN MATTO


Chissà cosa succederà alla prossima assemblea nazionale del PD. Il clima non è dei migliori e i vari attori non fanno niente per migliorarlo.
Renzi va avanti come un treno senza macchinista e la minoranza cerca i motivi che dividono rispetto a quelli che uniscono.   La cosa singolare è che in questo colloquio tra sordi mancano due cose fondamentali: la voce degli iscritti e il programma politico.
Un programma minimo che torni a parlare dei problemi veri: lavoro, sviluppo, ambiente, sicurezza e non le quattro fregnacce che da qualche tempo occupano le pagine dei giornali.
In questo clima il PD rischia di fare la fine del bicarbonato in un bicchiere d’acqua, sciogliersi lentamente in un ribollire di bollicine gassose. Ma almeno il bicarbonato aiuta a digerire, questa mistura invece fa venire il mal di fegato.
Fa venire il mal di fegato a chi aveva sperato che in Italia fosse possibile costruire un moderno partito riformista, in grado di far lavorare i cervelli migliori e che non mettesse nel cassonetto la storia ma la riaggiornasse sul terreno dell’innovazione, del cambiamento e della modernità.
Purtroppo il cambiamento è stato declinato nel modo peggiore, con un “fatti più in là” gridato in faccia ai vecchi. Il cambiamento non è stato la metamorfosi da bruco a farfalla ma un ascensore per salire ai piani alti. Insomma è stato uno scambio di culi, più o meno belli, sulle poltrone. Con il bel risultato di promuovere, nel migliore dei casi, degli incompetenti, nel peggiore dei piccoli trafficanti.
Il risultato? Potenti sganassoni su tutti i fronti, dalle elezioni locali fino al referendum, perché la gente è meno fessa di quanto si creda.
Ma il bello è che nessuno si mette in discussione, nemmeno chi, come Raffaella Paita, una che a suo tempo fece fuori Sergio Cofferati alle primarie per la regione Liguria grazie all'appoggio del Nuovo Centrodestra per poi regalare alla destra la regione. Questa signora invece di andare a meditare al Santuario della Madonna della Guardia si permette di intervenire con una certa protervia alla direzione nazionale. In verità la Paita dovrebbe essere accompagnata nel suo ritiro spirituale da una lunga teoria di personaggi, basta pensare a quello che è successo a Roma, a Napoli e in decine di altri comuni, compresa la città di Arezzo.

Ma alla fine questo è il problema minore. Il problema è un Partito che, come dice lucidamente Mario Tronti, “si è interessato alla politica dei diritti, trascurando i bisogni. Va bene la politica dell’Auditorium, e quella del tappeto rosso al Festival del cinema, ma coniugandole con le cose che contano davvero».
Insomma le ombre sono così tante da rischiare la cecità.
Per tornare a casa nostra è interessante quello che succede ad Arezzo. 

La cosa interessante e che non succede niente. Sembra di essere sul 38º parallelo, tra le due Coree, dove dai bunker gli avversari si spiano con potenti binocoli.  Uno stallo che lascia sorpresi perché il PD aretino viene fuori da una stagione disastrosa, che ha segnato la fine dell’egemonia politica del centrosinistra in questa provincia. Però anche qui, come a Roma, pare che la tempesta sia passata come un venticello d’Aprile. La casa è crollata? Poco male ci si arrangia sotto un ponte. Senza tener conto che alla fine arriva la piena.
Anche ad Arezzo ci sarebbe bisogno di aprire una discussione ma soprattutto di dirsi le cose sul muso, invece si preferisce sospirare nei sottoscala o negli sgabuzzini.
L’unica speranza è che prima o poi venga fuori un “matto” che dica le cose come stanno. Perché come diceva qualcuno, stiamo vivendo “in una cloaca morale di menzogne”.
Solo un “matto” può avere il coraggio di dire che dalle nostre parti sono avvenute cose inconcepibili in un partito normale, cose viscide e puteolenti che hanno portato a dei disastri politici e, a quanto si dice, queste pessime abitudini continuano.
Invece tutto tace e ci si arrangia in esercizi di precario funambolismo.  Da una  parte perché c’è una fifa del diavolo di perdere le rendite ottenute grazie al marchio di Renzi stampigliato sulle chiappe e, dall'altra, c’è un altrettanto forte timore di rompere un equilibrio che ha garantito posti e fette di potere. Senza rendersi conto che se l’acqua finisce il pesce muore.



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