lunedì 16 gennaio 2017

CONSIDERAZIONI IN LIBERTÀ' SULL' INTERVISTA DI RENZI

L’intervista di Matteo #Renzi al giornale La #Repubblica è interessante e istruttiva, soprattutto perché più che offrire soluzioni indica problemi. Problemi che ovviamente attendono di essere affrontati, ma già il fatto che siano messi sopra il tavolo, dopo un periodo in cui sembrava di vivere nel paese delle meraviglie, è già qualcosa.
Il primo punto è che dopo tanto rottamare si torna a parlare di tenere insieme tradizione e futuro. Chi non potrebbe essere d’accordo? Rimanendo legati al passato si rischia di perdere i treni ma anche prendendo le carrozze al volo, c’è il pericolo di finire stritolati sotto le ruote.

Si tratterebbe di capire che cosa siano questa tradizione e questo futuro. E qui si entra nella seconda parte del ragionamento renziano, e cioè la necessità di un approccio che non sia solo mediatico, internettiano ma anche culturale. Con la fatica che questo comporta.  Ridefinire i confini della sinistra è operazione complessa in un mondo, dove il lavoro non è più quello di un tempo, i rapporti sociali sono cambiati e le attese si sono modificate. Dove l’economia s’intreccia con la tecnologia, la sociologia si sposa con la cibernetica e la storia e la filosofia, quella filosofia tanto bistrattata dai futurologhi, riprendono il ruolo che gli spetta per approfondire la comprensione del mondo.

Perciò sbaglia chi sostiene che la sconfitta al referendum sia stata solo un problema di comunicazione, tradotto in soldoni di vendita di un prodotto . Lì erano in ballo questioni più complesse, che non potevano, anzi non dovevano, sfuggire a chi della politica fa il suo pane quotidiano. L’errore è stato non capire il moto di rigetto che, per vari motivi, uno fra tutti le difficoltà economiche, esisteva nei confronti del governo.
Detto questo, ci piace che Renzi parli della necessità di tornare al partito, oddio se si guarda gli ultimi dati sul tesseramento del Pd c’è da mettersi le mani nei capelli. E anche per questo ci sono delle ragioni precise.  Qualcuno che ne sa più di noi ci spieghi la ragione per cui un cittadino dovrebbe iscriversi al PD.
Una volta gli iscritti contavano qualcosa: se c’erano riforme da approvare se ne discuteva, il segretario nazionale era eletto dagli iscritti, le questioni locali si dibattevano in sezione. Oggi tutto il contrario, i sindaci fanno bellamente i cavoli loro, riforme importanti, come quella costituzionale o la riforma del lavoro, non sono passate da un esame preliminare degli iscritti e, colmo dei colmi, il segretario possono votarlo tutti, compresi gli elettori della destra. Con queste premesse noi vediamo una grande difficoltà a mettere mano al partito. Il motivo è banale, un vasaio può plasmare la creta se possiede la materia prima, ma se l’argilla manca c’è poco da fare. E oggi di materia prima (in senso umano) se ne vede pochina.
Per questo non siamo per niente d’accordo con Renzi quando dice che bisogna superare i vincoli delle correnti. Se si vuole più partecipazione bisogna che le correnti dentro il PD siano istituzionalizzate. Che possano liberamente giocare la loro partita nei congressi, che si facciano portartici di idee, che si dividano, a seconda dei pesi, le quote nelle istituzioni.  
Allo stesso modo ci lascia un po’ dubbiosi la necessità, rivendicata da Matteo, di una nuova classe dirigente. Siamo già alla rottamazione dei rottamatori? Tutto si può dire, ma di vecchioni in giro se ne vedono pochi, basta guardare la segreteria nazionale, i gruppi parlamentai e perfino quelli consiliari nei comuni e nelle regioni.  Che vuol dire nuova classe dirigente? Noi toglieremmo quel nuova, e ci fermeremmo a classe dirigente. Il PD, infatti, abbisogna una classe dirigente all'altezza, il nuovo e il vecchio in questo caso si equivalgono. Uno dei limiti della stagione renziana è stata l’inadeguatezza culturale e politica di molti uomini e donne che sono saliti sul carro del vincitore.
C’è bisogno di gente d’acciaio e non di plastica perché le battaglie saranno dure. Quando Renzi si domanda quali siano le nuove frontiere dell’esser di sinistra, basterebbe che leggesse (lo avrà fatto di sicuro) l’ultimo rapporto Oxfam dove si dice che gli otto super miliardari censiti da Forbes, detiene la stessa ricchezza che è riuscita a mettere insieme la metà della popolazione più povera del globo. E le diseguaglianze, divengono micidiali attraverso l’evasione fiscale delle grandi multinazionali, la massimizzazione dei profitti e la compressione dei salari. Ne deriva che i livelli delle retribuzioni sono sempre più insufficienti a garantire il minimo indispensabile alle famiglie. Si pone cioè il tema di quella che alcuni economisti chiamano “prosperità condivisa”, senza la quale si rischia il proliferare di movimenti populisti e di vere e proprie rivolte sociali. Non ci pare un tema da poco.




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