Sia chiaro, noi siamo per la
beneficenza, per la solidarietà, quella dei volontari laici, dei padri missionari,
degli operatori della protezione civile di coloro che rischiano in proprio,
qualche volta la pelle, andando tra i
malati, nelle bidonville, nei luoghi di distruzione, nei villaggi sperduti dell’Africa
e nelle periferie urbane, che sono diventate più pericolose della giungla. Abbiamo
invece le scatole piene della beneficenza ostentata perché ci ricorda troppo da
vicino la parabola del ricco Epulone , ricordate l’inizio?
“C'era un uomo ricco, che era vestito
di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante,
di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi
di quello che cadeva dalla mensa del ricco.”
Si sfamava di quello che cadeva, che
cosa terribile! Niente di peggio di un uomo che deve contentarsi degli avanzi
di un altro uomo. Quel modo di fare beneficenza sottende un mondo sbagliato, un
mondo dove la carità pelosa si sostituisce alla giustizia, una forma di
redistribuzione che non ci convince per niente.
La beneficenza diventa così il surrogato
della nostra cattiva coscienza, perché con
quella ci mondiamo delle nostre manchevolezze, piccole o grandi, e ne usciamo puliti,
pronti a ricominciare d’accapo.
Però facciamo bene a continuare così, perché
vedete la beneficenza è meglio della citrosodina, ci consente infatti di digerire delle pessime
(di solito) cene consentendoci di affrontare con più tranquillità d’animo e di stomaco i
cenoni di Natale.
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