Tra le tante cose che la bocciatura
delle riforme costituzionali lascia in eredità c’è la questione delle
province.
Il perché è presto detto, la riforma
Delrio, quella che un po’ pomposamente era stata definita come la legge che
aboliva le province, abolizione per modo di dire visto che le trasformava in
enti di secondo grado, anticipava di fatto gli effetti della riforma
costituzionale. Poiché la riforma costituzionale non c’è più si apre un bel problema.
Purtroppo gli effetti
della riforma non sono stati cancellati: blocco delle assunzioni, trasferimento
di circa 20 mila dipendenti verso altre amministrazioni, centinaia di
lavoratori abbandonati nell’incertezza, servizi come il lavoro che non si sa che fine faranno, diminuzione
drastica dei trasferimenti, con rischi reali di mandare gli enti di secondo
grado a gambe ritte. Tutto «in attesa» di una riforma costituzionale mai
entrata in vigore.
Adesso che succederà? C’è la
possibilità, concreta, che tutta la norma venga
dichiarata incostituzionale il che dimostra che non si può vendere la
pelle dell’orso prima di averlo ucciso. La fretta è cattiva consigliera, si è
voluto sacrificare le province, un ente che almeno in Toscana funzionava,
sull’altare del populismo e dell’antipolitica ed ecco i risultati: caos
normativo, dipendenti sbandati, diminuzione di risorse sul territorio,
cittadini che vedono peggiorare i servizi. Davvero un bel capolavoro.
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