Noi siamo tra chi ritiene che assumere
cariche pubbliche significhi accettare un di più di responsabilità. Se fai il
sindaco, il consigliere regionale, il parlamentare , il ministro non sei uguale a tutta le altre persone, perché non rappresenti
solo te stesso e all'occorrenza devi portare un fardello più pesante di altri.
Un fardello che è fatto talvolta d’insulti,
anatemi, pessimi articoli di giornale. Per
questo chi prendere su di sé un incarico pubblico, deve essere capace di
separarsi dal proprio destino personale.
Qualcuno potrebbe pensare che questa
sia roba da romantici, da eroi risorgimentali, da idealisti un po’ coglioni,
non è così, è invece l’abbiccì di chi vuol fare della politica un servizio e
non una professione.
Per questo, lo diciamo senza piaggeria,
abbiamo apprezzato il gesto di Matteo Renzi che si è dimesso dopo l’esito
negativo del referendum. A onor del vero la stessa cosa fece D’Alema all'indomani
di elezioni regionali disastrose per il centrosinistra.
Abbiamo apprezzato meno che ministri,
che pure portavano la responsabilità di quel fallimento referendario, siano
rimasti al governo ed altri parlamentari, che pure quella riforma avevano
contribuito ad elaborare, siano stati promossi ministri.
Qualcuno dirà ma Renzi continua a
tirare le fila, può darsi, ma intano lui è a Pontassieve e gli altri sono a
Roma. E per citare Renzi, che suo tempo disse “Il futuro non è uno spazio da aspettare, il futuro è un
luogo da conquistare” rammentiamo che il futuro è nelle mani di Dio, per cui niente
è già scritto.
Proprio per questo senso di responsabilità,
che dovrebbe improntare chi ha compiti di governo (a tutti i livelli), un
ministro come Poletti o come la stessa ministra Fedeli sarebbero obbligati a dare
un segnale preciso. Non per sfamare la voglia di sangue che cola, come bava schifosa,
dalla bocca di certi giornalisti o di taluni moralisti d’accatto, ma per coerenza
con se stessi.
Per un uomo e una donna che svolgono
incarichi pubblici non è ammesso dire
falsità e stupidaggini. In Germania due ministri si sono dimessi per aver copiato
dei pezzi della loro tesi di laurea, in Giappone un ministro dell’economia,
molto potente, se n’è andato per una battuta infelice a una giornalista, un ministro
canadese ha rassegnato il mandato per aver mentito: avea detto che alla guida
della macchina, beccata da un autovelox, c’era la moglie e non lui.
Invece in Italia non ci si dimette
nemmeno se condannati dai tribunali. Condannati, non inquisiti e la differenza
non è da poco. Perché noi non siamo d’accordo con chi dice che è sufficiente un
avviso di garanzia per levarsi dalle scatole. Un avviso di garanzia vuol dire
che sei sottoposto ad indagine e potresti uscirne imputato o innocente, non è
una condanna, ben altra cosa è la sentenza di un tribunale.
Nei casi di Poletti e Fedeli non ci
sono condanne per carità c’è solo una questione di opportunità.
Quell'opportunità che però diventa
sostanza nel momento in cui devi tener conto di un’opinione pubblica che
pretende dai suoi rappresentanti trasparenza e amore per il bene pubblico.
Se un manager fa battute di dubbio gusto
sui propri azionisti, come nel caso di Poletti questi ultimi gli chiedano
conto, lo stesso se uno presenta un curriculum non corretto per essere assunto
in un impiego. Se il datore di lavoro lo scopre passa qualche guaio. Ebbene gli
azionisti e i datori del lavoro dei politici sono i cittadini, e i cittadini hanno
diritto di essere ascoltati. Poi si può fare anche orecchie da mercante ma alla
fine si paga dazio. Detto per inciso, a proposito di curriculum, non c’è stato
un cane che, nelle sedi deputate, abbia ripreso
la nostra proposta per gli amministratori locali di presentare curriculum e dichiarazione
dei redditi. Anche questo è un segnale.
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