Una nostra amica ci ha raccontato che
suo padre gli diceva “prima di decidere come votare, guarda dove votano i
ricchi e regolati di conseguenza”.
Il metodo, in verità, appare alquanto
empirico, ma alla fine contiene un fondo di verità, perché i ricchi che votano
contro i propri interessi sono rari come le mosche bianche. E poiché, di norma,
i loro interessi raramente coincidono con quelli delle altre classi sociali il
gioco è fatto. Qualcuno potrà dire che questa è roba del secolo scorso,
ciarpame e ideologia. Lo credevamo anche
noi, convinti che lo sviluppo armonioso di una società si componesse di una
bella fetta di mercato, un robusto stato sociale e la possibilità per tutti di
salire la scala sociale.
Invece non è così, perché il divario
tra ricchi e poveri aumenta, la mobilità sociale è ingessata e la rendita
finanziaria si mangia il lavoro.
Questa storia del lavoro è tornata prepotentemente
di moda quando ci si è accorti che quel populista di Trump ha vinto le
elezioni, in diversi stati dell’unione, mettendo il lavoro tra i temi in
agenda.
Noi dubitiamo che Trump abbia letto Marx però quest’ultimo affermava che
“l’umanizzazione della vita non può che compiersi attraverso il lavoro che è
innanzitutto il modo col quale si manifesta l’essenza dell’uomo in quanto tale”.
Quindi, se quest’ultimo manca, viene meno anche una parte di umanità oltre che
di reddito. Una lezione che il magnate americano ha messo in partica quando ha
parlato di lavoro a uomini e donne sradicati nella loro stessa terra e privi
ormai di una identità.
Cosa c’incastra tutto questo col referendum
prossimo venturo? Poco o niente verrebbe da dire. E invece sarebbe una bella
sfida capire come i futuri assetti costituzionali potrebbero incidere sui
parametri dell’economia. Ecco allora delinearsi uno schieramento ben preciso.
Confindustria è scesa in campo a
favore del SI, così come hanno fatto altre associazioni di categoria. David
Flokerts Landau, capo economista della Deutsche Bank ha detto che “un’Italia
senza riforme starebbe meglio fuori dall’euro”.
I report degli analisti auspicano il
passaggio della riforma, “una precondizione importante per continuare il
processo di riforme italiane”, come ha scritto la Morgan Stanley. Lo stesso
dicono le banche d’affari, “se vincesse il No” afferma ad esempio Goldman Sachs
“l’aumento di capitale di Mps avrebbe difficoltà ad andare in porto con il
rischio di travolgere con effetto- domino gli altri istituti in difficoltà”.
41 dei 42 manager delle grandi aziende
italiane hanno confessato che voteranno
Sì. Insomma la business community è
schierata.
Se è così una ragione deve pur esserci
e siccome questa gente non fa beneficenza, tranne mettersi la coscienza in pace
con un po’ di “compassionate
conservatorism”, cioè quel sistema, vecchio quanto il cucco, dove i ricchi fanno la carità ai poveri. Ecco
allora che ritorna il vecchio adagio “prima di decidere come votare, guarda
dove votano i ricchi e tu regolati di conseguenza”.
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