martedì 11 ottobre 2016

REFERENDUM: UN BRUTTO MANIFESTO CHE LA DICE LUNGA

La contesa #referendaria sta assumendo sempre più i contorni di una disputa tra guelfi e ghibellini, dove non conta il merito delle ragioni (ce ne sono di buone da una parte e dall'altra) ma vale solo l’appartenenza, il tifo, la ricerca di smontare le argomentazioni dell’avversario forzando la mano di una propaganda becera e senza costrutto.
Così come non è accettabile, da parte del fronte del NO, utilizzare lo strumento referendario per disarcionare #Renzi è altrettanto disdicevole che il SI faccia gorgogliare la pancia degli elettori con una campagna demagogica.

Non ha senso, per esempio, agitare lo spettro di una #recessione qualora dovessero prevalere i contrari alla riforma. Purtroppo la crisi economica divora ricchezza e posti di lavoro da parecchi anni e, stante la globalizzazione, crediamo proprio che ai cinesi, agli indiani o ai nord americani della riforma costituzionale italiana non gliene freghi proprio niente. I tanto evocati mercati guardano a ben altre cose: all'indice di produttività, alla scarsa propensione all'innovazione, alla fuga dei cervelli, alla lentezza della giustizia amministrativa, non certo alla trasformazione del #senato in camera delle autonomie oppure alla scomparsa del CNEL con annessi e connessi.
Ma quello che ferisce di più nella propaganda del Si è l’utilizzo, senza cautele, dell’antipolitica. E’ come sciogliere un mastino idrofobo per poi accorgersi che morde la mano del padrone.
Quando appaiono manifesti con su scritto “Cara Italia, vuoi diminuire il numero dei politici? Basta un SI”, siamo quasi a un punto di non ritorno.

Altro era dire volete diminuire le spese della politica?
Quantomeno il messaggio avrebbe avuto un senso compiuto. E anche su questo ci sarebbe parecchio da discutere. Per esempio nessuno dice che trasformando il senato (non abolendolo) rimangono pressoché invariate le spese di funzionamento, le spese di un personale super pagato, le spese per i servizi. Anche quelle fanno parte dei costi della politica oppure no?
Ma che vuol dire diminuire il numero dei politici e chi sono questi maledetti politici da azzerare? 
Noi crediamo che il desiderio principale della gente sia avere dei rappresentanti politici capaci e onesti. Si può anche diminuire, com’è stato fatto, il numero dei consiglieri comunali, togliere di mezzo i consigli provinciali, ridurre i consigli regionali, sostituire i Senatori con i rappresentati di comuni e regioni. Ma se poi quelli che rimangono non capiscono niente o peggio ancora continuano a utilizzare le proprie cariche per vantaggi personali credete proprio che si sia risolto il problema? Non prendiamoci in giro.
Il messaggio di quell’orrendo manifesto è brutto perché fa indirettamente capire che forse della politica se ne può fare anche a meno. E allora ritorna alla memoria, per chi ha ancora un po’ di conoscenza della storia, il regio decreto n°1910 del 3 settembre 1926 con il quale gli organi democratici dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni svolte in precedenza dal sindaco, dalla giunta comunale e dal consiglio comunale furono trasferite al podestà, che era nominato dal governo. Anche in quel caso ci fu una bella riduzione del numero dei politici ma non certo a vantaggio della democrazia.
La strada non è solo quella di ridurre il numero delle rappresentanze o delle poltrone nei vari enti, la diminuzione delle spese si poteva raggiungere in maniera molto più semplice diminuendo le indennità. I numeri sono impietosi. Rapportando l’indennità dei deputati con la ricchezza di ogni nazione viene fuori un quadretto dove i nostri parlamentari percepiscono 5,5 volte il reddito pro-capite nazionale, gli spagnoli l’1,96 i tedeschi il 2,89. Come mai non s’è deciso di dare una bella sforbiciata da quelle parti? 
E’ di questo che la gente s’è rotta le scatole e hanno dunque buon gioco i ciarlatani a trasformare la politica in un mostro ingordo e senza fondo. Di fronte a questo non serve, come sembra fare il fronte del SI, inoculare dosi ancora più massicce di populismo. Il rischio è di avvitarsi in una spirale senza fine perché la demagogia, come insegna la storia, è una droga pericolosa, che richiede roba sempre più forte e crea assuefazione alle peggiori cazzate che possono venire alla bocca di un uomo.
Ci dispiace che quei manifesti, così palesemente sbagliati, rechino in calce la firma del PD, un partito che era nato per cambiare in meglio l’Italia non per imbonirla.










Nessun commento:

Posta un commento