La polemica tra Scalfari e Zagrebelsky
che verte sull’uso proprio o improprio del termine “oligarchia” e sulla declinazione
in senso ampio o stretto del termine democrazia, rischia di essere l’ennesima disputa
nominalistica, da parte di autorevoli rappresentati di quel mondo progressista
decadente che ritiene che le verità dei filosofi possano, come per magia,
illuminare le menti e aprire i cuori.
Oggi purtroppo non funziona così,
sarebbe come pensare che i filosofi neoplatonici, in virtù dei loro insegnamenti,
avessero potuto fermare le invasioni barbariche.
Purtroppo (o per fortuna) non è
avvenuto, i barbari portavano ben altri argomenti. Oggi la situazione vede
forme di nuova barbarie esplodere all’interno dell’impero, mentre dall’esterno
i confini sono minacciati da migrazioni inarrestabili e da un’economia che non
conosce più i limiti nazionali. Insomma la disputa tra Scalfari e Zagrebelsky assume
la sostanza di quello che secondo Tito Livio dissero gli ambasciatori di
Sagunto: “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata” .
La posta in gioco in questo referendum
non è filosofica ma pratica, dopo il 4 dicembre, almeno per il nostro paese, non
tutto sarà uguale.
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