E’
stato recentemente dato alle stampe un saggio intitolato “Tangentopoli nera.
Malaffare, corruzione e ricatti all'ombra del fascismo nelle carte segrete di
Mussolini”.
Il
libro, com'era prevedibile, ha suscitato un vespaio perché da parte di alcuni
si è subito detto che il fascismo sarà stato pure un regime autoritario, ma
nessuno rubava. Francamente a noi non interessa un accidente se, anche nel ventennio,
ci fossero dei corrotti, i corrotti ci sono sempre stati, a ogni latitudine.
La
cosa interessante è invece l’attualità di alcuni capitoli. Prendiamo la parte
in cui gli autori parlano della situazione di Milano.
Sotto
la protezione di Arnaldo Mussolini, fratello del duce, un gruppo di potere mise
le mani sulla città. Tra loro si distingueva il federale Mario Giampaoli, un
tale Roberto Rossi, che faceva da addetto stampa e il podestà Roberto Belloni.
Le
caratteristiche di questi soggetti sono indicative, quasi paradigmatiche e
richiamano personaggi della nostra epoca.
Il
Federale, innanzi alla marcia su Roma, era un poveraccio. Dal momento in cui
diventò capo del partito a Milano gli organi di polizia, segnalarono
un’impennata delle sue fortune economiche. In sostanza prima di assumere la
carica era nullatenente poi si trasformò in un agiato alto borghese. Per di più
amava circondarsi di una cricca che, come dicono i rapporti era “composta da
ladri, bari di professione, cocainomani, ricattatori e tenutari di bordelli”.
Il
Rossi invece era proprio un malavitoso, indagato per una rapina, però da quando
diventò addetto stampa si concesse una vita lussuosa, fatta di macchine
sportive, ville e un notevole conto in banca. In quanto al podestà era un
impiegato. Appena nominato, fece ottenere al suo datore di lavoro la carica di
Senatore in cambio del ritiro di una denuncia a suo carico per ammanchi nelle
casse della ditta. Non contento approfittò del ruolo pubblico per intessere una
vasta rete di affari.
C’è
chi dice che rinvangare il passato non serve, non siamo per niente d’accordo.
La storia non sarà maestra di vita, giacché nonostante tutto si continuano a ripetere
gli errori, però qualcosa ci può insegnare.
Per
prevenire basterebbe poco: ad esempio perchè coloro che sono chiamati a
ricoprire incarichi istituzionali o politici non rendono pubblica, al momento
dell’insediamento, la propria
dichiarazione dei redditi? In seguito sarebbe interessante confrontarla con
quelle degli anni successivi. Siamo convinti che ne vedremmo delle belle anche
dalle nostre parti.
Spiantati
che si riciclano come validi amministratori, uomini e donne che fino al giorno
prima campavano non si sa come che diventano strateghi, piccoli faccendieri e
traffichini chiamati a ruoli dentro Enti Morali. Insomma se solo le
amministrazioni fossero più trasparenti, i cittadini avrebbero modo di rendersi
conto di come la corruzione non stia solo nella pratica delle tangenti o delle
bustarelle ma in una consuetudine dove l’opacità occupa il posto della limpidezza.
Per cui, nell'indifferenza generale, compresa quella di chi, per mestiere,
dovrebbe fustigare i costumi, vediamo professionisti che, grazie al fatto di
ricoprire incarichi pubblici, incrementano la clientela, oppure si fanno
sponsor di altri professionisti, magari facendo a mezzo delle notule. Potremmo scoprire
nullatenenti che hanno finalmente trovato uno stipendio e pregiudicati diventare
severi custodi della morale pubblica. Nessuno che sollevi questo problema, eppure
ci vorrebbe così poco per fare chiarezza. Come diceva qualcuno “a pensar male si
fa peccato ma spesso ci s’indovina”, provate voi a darvi una risposta.
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