L’ipocrisia e il perbenismo (falso)
sono quanto di più odioso possa esistere al mondo. Il fuoco di batteria degli ipocriti si è scatenato
in questi giorni contro un opuscolo
prodotto dal Ministero della Salute sulla infertilità. L’accusa è di quelle che
fanno male: “razzismo”.
La critica prende le mosse dal fatto
che nella parte superiore di questo dépliant
gli stili di vita “sani” appaiono
incarnati da due coppie belle e bianche, mentre i “testimonial” di quelli “pericolosi”
sono un rasta, un nero e una ragazza sorpresi a fumare non si sa bene
quale sostanza.
In effetti la copertina dell’
opuscoletto è veramente brutta, e bisognerebbe domandarci, prima ancora di
ragionare di razzismo, a cosa servano queste pubblicazioni. Ma soprattutto quanto costano alle casse dell’erario
queste inutili campagne.
L’unico servizio che fanno è quello di
intrattenere qualche paziente nell'anticamera di un ambulatorio.
Ma di là della reale utilità di
questi strumenti rimane la crepa di una operazione
pubblicitaria dove i belli e i bianchi rappresentano il bene e quelli brutti e
neri incarnano il male. Ha buon gioco Saviano
a dire che queste immagini richiamano un po’ (solo un po’) un certo tipo di propaganda
che andava in voga nel 1936 in Germania. Affermazione forte, che ci sta come il
cavolo a merenda.
Ma la storia deve finire qui. Noi non
crediamo che ci siano stati intenti razzisti in chi ha realizzato quell'immagine.
Semplicemente chi ha congegnato quel
tipo di messaggio è un incapace.
Ma quello che la massa di ipocriti e
farisei non vuol capire è che quel
creativo, o grafico o chiamatelo come via pare, ha interpretato (forse inconsapevolmente
) quello che una massa cospicua di gente pensa.
Nessuno, tra i tanti ipocriti, che abbondano
in giornali e TV, vuole ammettere che
una fetta del popolo italiano ( e non solo leghisti) è convinta che le cose stiano proprio così, e cioè che i bianchi (anche qui con
distinzioni abbastanza marcate, per esempio per balcanici e carpatici non vale)
siano più buoni e meno portati a delinquere degli stranieri, in particolare se
neri.
La ministra Lorenzin sarà stata pure
incuta, la dirigente del ministero si prenderà tutte le colpe, ma alla fine
quello che i nostri bacchettoni non
ammetteranno mai è che quell'opuscolo, per quanto malfatto, rispecchia un
sentimento abbastanza diffuso. E, a
guardar bene, perfino con qualche giustificazione statistica.
Gli stranieri sono infatti l'8,3
per cento della popolazione residente in Italia, ma nelle carceri «pesano»
molto di più, intorno al 32 per cento. Il tutto anche al netto delle
valutazioni delle tipologie di reato, che non saranno i più gravi e violenti
(prostituzione, traffico di droga e furti) ma certo destano un grande allarme
sociale.
E anche in Europa le cose non vanno
molto meglio, nei Paesi Ue «in media gli stranieri delinquono 4 volte di più. Con
punte di 12 in Grecia, 7 in Polonia, 6 in Italia, 5 nelle civilissime Svezia,
Austria, Olanda». Questo può spiegare la diffidenza del «popolo» verso l'«élite
illuminata di una Europa che ha saputo opporre soltanto l'imperativo morale
dell'accoglienza, il valore superiore dell'inclusione sociale, e talora anche
il disprezzo per chi ha paura, accusato di basarsi su mere percezioni, distorte
dalla propaganda e dalla credulità, anziché sulla cruda realtà delle cifre
statistiche».
Certo è che se continueremo a
lasciare allo sbando migliaia di persone, negandogli un futuro, se la politica
dei rimpatri continuerà non funzionare, tutto questo non potrà che peggiorare.
Sarebbe
bene che i farisei benpensanti, invece di parlare e dare pagelle di razzismo dall'alto dei loro super attici, si facessero un giro nelle stazioni di notte, lungo i raccordi
autostradali, nelle periferie lacerate delle città.
Noi vogliamo
la libertà di parlare, bene o male, di tutti: bianchi, neri e gialli. Il
problema infatti non è il colore della pelle ma quello che uno si porta dentro.
E, come abbiamo già detto, da questo punto di vista sono più socialmente pericolose
le bande di teppistelli nostrani che qualche immigrato seduto su di una
panchina.
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