Quando leggiamo le cronache nazionali, ma più spesso quelle locali, ci
piglia un accidente. Possibile che le cose siano davvero queste?
Ci riflettiamo
sopra, tiriamo le somme ed il risultato è pari a zero. Probabilmente le nostre
lenti sono deformate ma ci sembra che i fatti spesso stiano in un altro modo.
Siamo sempre più convinti che un giornalismo, un’informazione alla “mulino
bianco” non serve a un tubo. L’enfasi sulla bontà dei sentimenti, sulle notiziole
che diventano novelle da propinare ai bambini prima di addormentarsi, sono il
contrario dell’informazione. Ci vuole disturbo, polemica, satira,
approfondimenti, al limite studio. Senza la paura di dare sulle mani a qualcuno.
Invece questo miele che gronda è solo istupidimento, apparenza di un mondo a
senso unico che non esiste, dove tutto è bello, roseo, funzionale. Lo sappiamo,
per essere pungenti ci sono solo due strade o si diventa vespe oppure si prende
il coraggio a due mani.
Ma quale coraggio possono avere quelli che, come si dice, “tengono famiglia”
e si accontentano?
Non è un male tirare a campare, anzi qualche volta, quando lo si fa con fatica
e sacrificio diventa un merito. Ma quando al tirare a campare si danno le vesti
di una filosofia, il discorso cambia. In quel caso non c’è perdono o remissione
della colpa. Si è colpevoli e basta. Colpevoli di omissione, colpevoli di pavidità, colpevoli di perbenismo interessato, colpevoli perchè non è così che si migliora quello che abbiamo intorno.
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