lunedì 12 settembre 2016

LA DIALETTICA AI TEMPI DI RENZI

La dialettica, ai tempi di Renzi, si concentra in alcuni concetti contrapposti: nuovo/vecchio, futuro/passato, cambiamento/conservazione.  In questa logica  vecchio, passato e conservazione diventano sinonimi.
L’esperienza ci dice che non sempre è così ma è altrettanto vero che spesso i vecchi sono tendenzialmente conservatori e rimangono legati, per ovvi motivi, al passato.
Quella che però manca, in questa “fenomenologia della storia”, è la dimensione del presente.

Se la tesi è il nuovo, l’antitesi è il vecchio manca però la sintesi. La sintesi è il presente, ed è col presente che siamo chiamati a fare i conti. Se è indispensabile per un politico guardare al futuro, i famosi pensieri lunghi, è altrettanto vero che non può prescindere da quello che gli accade intorno, altrimenti diventa un utopista e, a quanto ci risulta, le utopie hanno portato più danni che vantaggi.

E’ inutile girare intorno al problema, un paese a crescita zero dal punto di vista economico e demografico è destinato a fare la fine dei dinosauri.
Così come un paese che non è in grado di darsi delle priorità sul piano degli investimenti e preferisce sparpagliare la spesa pubblica (poca o tanta che sia) non avrà mai la forza di risollevarsi.
Un paese dove disoccupazione giovanile e intellettuale sono a un livello altissimo è un paese che non ha prospettive.  Se a questo aggiungiamo una tassazione esasperata (non è vero che è calata perché se diminuisce a livello nazionale ma aumenta livello locale il risultato non cambia), un aumento del divario tra poveri e ricchi, con la scomparsa della classe media che, come tutti i manuali insegnano,  è la spina dorsale di ogni economia, dove pensiamo di andare?
E’ sufficiente dire che il vecchio vuol conservare e il giovane vuole innovare?
Innovare vuol dire fare scelte coraggiose ma in giro non vediamo troppi curi di leone. 
E quelli (tra i nuovi) che intravedono un legame tra riforma costituzionale ed economia sono dei millantatori. Le riforme istituzionali sono importanti se innervate in uno stato che a basi solide, in caso contrario divento un gingillo da mettere al collo di un corpo in disfacimento.
Siamo troppo pessimisti? Forse lo siamo ma la situazione non è bella e continuare a ballare sulla tolda del Titanic non servirà a evitare il naufragio. 
La domanda da farsi non è se siamo pessimisti oppure ottimisti, la domanda che stenta a trovare una risposta è perché la politica non è più in grado, se non in misura minima, di dare risposte ai problemi della gente.  
Problemi che hanno un nome un cognome: poco lavoro, tasse  alte, scarsa propensione imprenditoriale (anche perchè non si può chiedere a un imprenditore, specie se giovane, di pagare le tasse prima ancora di iniziare a produrre), una immigrazione incontrollata, una evasione fiscale scandalosa, un senso diffuso di ingiustizia. E quale ingiustizia più grande se tanta gente rinuncia a curare la propria salute perché non ha i soldi per pagarsi le terapie e i tickets nelle strutture pubbliche costano più che andare da un privato?
Questo accade quando c’è chi ha troppo e chi ha troppo poco.
In questo senso c’è piaciuto Renzi quando recentemente si è messo al tavolo con gli altri paesi dell’Europa Mediterranea ed ha detto che forse è il momento di svoltare: politiche espansive, più reddito per i cittadini, meno austerità che strozza gli investimenti.  Se questa è la prospettiva allora dovrà cambiare anche i termini della sua dialettica.
Il problema non è essere giovani o vecchi ma avere delle buone idee da mettere sul piatto. Idee in verità nemmeno tanto originali perché qui non c’è da inventare proprio niente, si tratta di riattualizzare un pensiero che dice che un mondo pieno d’ingiustizie alla fine scoppia, e non sempre l’esplosione è controllabile.  



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