La
dialettica, ai tempi di Renzi, si concentra in alcuni concetti contrapposti:
nuovo/vecchio, futuro/passato, cambiamento/conservazione. In questa logica vecchio, passato e conservazione diventano
sinonimi.
L’esperienza
ci dice che non sempre è così ma è altrettanto vero che spesso i vecchi sono
tendenzialmente conservatori e rimangono legati, per ovvi motivi, al passato.
Quella
che però manca, in questa “fenomenologia della storia”, è la dimensione del
presente.
Se la tesi è il nuovo, l’antitesi è il vecchio manca però la sintesi. La
sintesi è il presente, ed è col presente che siamo chiamati a fare i conti. Se
è indispensabile per un politico guardare al futuro, i famosi pensieri lunghi, è
altrettanto vero che non può prescindere da quello che gli accade intorno,
altrimenti diventa un utopista e, a quanto ci risulta, le utopie hanno portato
più danni che vantaggi.
E’
inutile girare intorno al problema, un paese a crescita zero dal punto di vista
economico e demografico è destinato a fare la fine dei dinosauri.
Così
come un paese che non è in grado di darsi delle priorità sul piano degli
investimenti e preferisce sparpagliare la spesa pubblica (poca o tanta che sia)
non avrà mai la forza di risollevarsi.
Un
paese dove disoccupazione giovanile e intellettuale sono a un livello altissimo
è un paese che non ha prospettive. Se a
questo aggiungiamo una tassazione esasperata (non è vero che è calata perché se
diminuisce a livello nazionale ma aumenta livello locale il risultato non
cambia), un aumento del divario tra poveri e ricchi, con la scomparsa della
classe media che, come tutti i manuali insegnano, è la spina dorsale di ogni economia, dove
pensiamo di andare?
E’
sufficiente dire che il vecchio vuol conservare e il giovane vuole innovare?
Innovare
vuol dire fare scelte coraggiose ma in giro non vediamo troppi curi di
leone.
E
quelli (tra i nuovi) che intravedono un legame tra riforma costituzionale ed
economia sono dei millantatori. Le riforme istituzionali sono importanti se
innervate in uno stato che a basi solide, in caso contrario divento un gingillo
da mettere al collo di un corpo in disfacimento.
Siamo
troppo pessimisti? Forse lo siamo ma la situazione non è bella e continuare a ballare
sulla tolda del Titanic non servirà a evitare il naufragio.
La
domanda da farsi non è se siamo pessimisti oppure ottimisti, la domanda che
stenta a trovare una risposta è perché la politica non è più in grado, se non
in misura minima, di dare risposte ai problemi della gente.
Problemi
che hanno un nome un cognome: poco lavoro, tasse alte, scarsa propensione imprenditoriale
(anche perchè non si può chiedere a un imprenditore, specie se giovane, di
pagare le tasse prima ancora di iniziare a produrre), una immigrazione
incontrollata, una evasione fiscale scandalosa, un senso diffuso di ingiustizia.
E quale ingiustizia più grande se tanta gente rinuncia a curare la propria
salute perché non ha i soldi per pagarsi le terapie e i tickets nelle strutture
pubbliche costano più che andare da un privato?
Questo
accade quando c’è chi ha troppo e chi ha troppo poco.
In
questo senso c’è piaciuto Renzi quando recentemente si è messo al tavolo con
gli altri paesi dell’Europa Mediterranea ed ha detto che forse è il momento di svoltare:
politiche espansive, più reddito per i cittadini, meno austerità che strozza
gli investimenti. Se questa è la
prospettiva allora dovrà cambiare anche i termini della sua dialettica.
Il
problema non è essere giovani o vecchi ma avere delle buone idee da mettere sul
piatto. Idee in verità nemmeno tanto originali perché qui non c’è da inventare
proprio niente, si tratta di riattualizzare un pensiero che dice che un mondo
pieno d’ingiustizie alla fine scoppia, e non sempre l’esplosione è controllabile.
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