Da qualche parte il presidente del Pd
Orfini ha dichiarato che bisogna sciogliere le correnti dentro il partito, offrendo
la disponibilità, fin da subito, a sciogliere
la sua.
Compito facile da una parte, improbo dall'altra.
La corrente di appartenenza di Orfini,
quella detta dei Giovani Turchi, ci mette poco a scomparire dai territori, visto
che per trovare qualche “turco” in
periferia bisogna andare a “Chi l’ha visto”. Più complicato chiedere di rinunciare
al paracadute a gente che proprio grazie ai “Giovani Turchi” si è trovata catapultata
in ministeri, incarichi nazionali, assessorati.
Però il principio sembrerebbe buono a
chi, da fuori, assiste alla lenta decomposizione del PD. Invece no! Il
principio è sbagliato ed il rimedio è peggiore della malattia.
Noi siamo convinti che il male non
stia nelle correnti, man nel fatto che non ci siano e che le divisioni nascano
dal tronco di un falso unanimismo dove si innestano potentati di varia natura:
politica, economica, aziendale, istituzionale.
Facciamola finita con la retorica del
tutti uniti appassionatamente. La verità è che il Pd rischia di implodere perché
manca da troppo tempo, verrebbe da dire da sempre, un serio dibattito sui valori, sulle
prospettive, sull'economia. Il fatto che vi siano difficoltà non deriva dalle troppe
correnti ma semmai nel contrario, e cioè
che ve ne sono troppo poche.
Perché le correnti sono utili?
Primo perché riflettono la pluralità
di pensiero e alimentano il dibattito interno, secondo perché sono garanzia di partecipazione,
terzo perchè non consentono il consolidarsi dell’ assolutismo, quarto perchè negli incarichi tendono a promuovere i
migliori, nella massa la qualità si perde, in gruppi ristretti tende ad emergere,
quinto perché finalmente sappiamo di che panni si veste l’interlocutore che
abbiamo davanti.
Une esempio banale. Se qualcuno ha
avuto la pazienza di seguire il dibattito del PD aretino, al di là della caricatura che ne hanno data
alcuni giornali: da una parte i buoni dall'altra quelli brutti sporchi e
cattivi, crediamo che ci abbia ricavato ben poco. Alla fine i documenti approvati
si somigliano, l’unanimismo di cartone trionfa e tutto è rinviato al congresso prossimo
venturo. Non bisogna essere profeti per prevedere che dopo il referendum
vedremo i fuochi di artificio, sia che vinca il Si sia che vinca il No.
Se invece ci fossero state correnti strutturate avremmo saputo
da subito con precisione come stavano le cose, i pesi dei numeri, la forza di
ognuno e in quale direzione tirava il
vento.
Noi tifiamo per le correnti, quelle toste, che furono della DC e
del PSI, quelle che organizzano convegni, che studiano, che si spartiscono (brutta
parola vero?) incarichi e ruoli sulla base dei numeri. Quelle correnti che
consentono di rivendicare con orgoglio l’appartenenza a una idea, a una storia, al limite a una
illusione.
Siamo antichi? No, siamo più moderni
di quanti, in nome della modernità, blindano
il sistema con metodi che
richiamano Luigi XIV.
Il passato di per se non è per forza
un male. Il fatto che la ruota sia stata inventata migliaia di anni fa non
significa che bisogna fare le gomme quadrate per essere innovatori.
Impariamo dai vecchi arnesi della
politica che marciavano divisi e colpivano uniti. Qui invece avviene il
contrario, si fa finta di essere uniti e poi al momento della prova ci si divide, regalando comuni e città a gente
che, per propria virtù, non avrebbe mai vinto.
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