Dopo
le ultime elezioni amministrative la gran parte dei commentatori ha puntato i
fari su Milano e Roma, mettendo in penombra
Napoli. Grave errore. Se si guarda al panorama del voto nella città delle 500
cupole è successa una cosa quantomeno insolita, il PD non è arrivato al ballottaggio.
E pensare che nel 1996 il candidato della sinistra raggiunse la stratosferica cifra del 72,9% dei voti al primo turno.
“Secoli fa” direbbe qualcuno, è
vero in politica i giorni valgono anni, ma nel 2006 l’ultimo sindaco del centrosinistra fu eletto
con il 57%.
“Il mondo cambia” direbbe il solito interlocutore
scassapalle. Possibile che cambi sempre in peggio? Qualcosa deve essere pur
successo.
Benché qualche testa pensante insista a dire che quanto
è avvenuto sotto il Vesuvio sia un caso a parte, noi non ne siamo troppo
convinti. Anzi aggiungiamo che il caso Napoli, fatte salve alcune differenze, è
fornito di un valore esemplare rispetto a ciò che è capitato dalle nostre
parti.
Nessuno, per esempio, ha fatto caso che mentre a Napoli
la candidata (poco) Valente arrivava terza a Salerno il candidato espressione
del PD era eletto al primo turno con il 70% dei suffragi.
Un caso? Può essere, è opportuno ricordare che Salerno
è la città di De Luca, attuale presidente della Campania che, nelle intenzioni di
alcuni raffinati strateghi, non si sarebbe nemmeno dovuto presentare alle
elezioni regionali.
Anche in questo caso i campioncini che tirano i fili
della politica del PD non l’avrebbero indovinata, e oggi con tutta probabilità
la regione sarebbe governata dalla destra. Ma si sa oggi il “nuovismo” è una grossa
ramazza che non guarda in faccia a nessuno, salvo poi, quando si prendono
schiaffoni, si socializzano le perdite e le responsabilità sono sempre di
qualcun altro.
Invece di errori ne sono stati fatti. Alle scuole di
formazione del partito occorrerebbe spiegare che per tentare di vincere alle
elezioni, dalle grandi città ai piccoli paesi, sono necessarie personalità
riconosciute, popolari, competenti e che sappiano ribattere colpo su colpo agli
avversari. In altre parole c’è bisogno di una vera classe dirigente, il PD non
è un movimento che può puntare tutto sulla novità e/o la verginità politica ma
è, o almeno dovrebbe essere, un partito strutturato, destinato a durare nel
tempo. In politica, come nella vita, si può anche perdere ma quantomeno si ha
l’obbligo di giocare la partita.
A Napoli nemmeno si è giocato. Si è preferito
inventarsi delle primarie, sulle cui regolarità formale non abbiamo dubbi,
piuttosto che candidare un tipo che aveva la colpa di essere canuto e bianco e
di aver già fatto il sindaco. Tanto che
si era inventata la strana regola che chi aveva fatto il sindaco non poteva
ricandidarsi alle primarie. Non siamo amanti di Bassolino, dal quale ci
divideva almeno in passato più di un’idea ma, diavolo cane, non si può da una
parte esaltare Bernie Sanders (74 anni) oppure il governatore della California
Brown (78 anni) e dalle nostre parti sostenere che uno come Bassolino (69 anni)
è da Casa Pia.
I posti non si conquistano con l’età anagrafica ma con
la capacità, la preparazione, il sacrificio e anche con una buona dose di
spregiudicatezza ma quando quest’ultima sopravanza tutto il resto diventa
arrivismo e allora sono cavoli amari.
Il risultato finale qual è stato? Si è preferito una (poco)
Valente da sacrificare a un candidato che avrebbe conteso con le unghie e con i
denti il territorio, dal centro alle periferie, a una volpe come De Magistris.
Ma questo significava mettere in crisi l’assioma della rottamazione che taluni
considerano al pari della legge di gravità e cioè immodificabile.
Alcuni di questi metodi ci pare che siano stati
utilizzati anche in terra aretina, con più eleganza ma con risultati pressoché
analoghi. Un partito che rinuncia a guidare la barca, pur tra i fortunali, è un
partito destinato a perdere. Quando per esempio si decide di non ricandidare
sindaci al primo mandato bisogna essere forti: o quei sindaci sono dei
disgraziati (in senso politico) però bisogna dimostrarlo, oppure si è obbligati
a ripresentarli alle elezioni. Se poi qualcuno morso dalla tarantola, o roso dall'ambizione, pretende elezioni primarie a tutti i costi, ci vuole la forza
di imporre le ragioni della politica e se c’è chi ancora insiste l’unica cura è
una buona dose di calci nel sedere (metaforicamente si intende). Anche da noi,
come a Napoli, c’è stato un difetto di analisi nella convinzione che tanto alla
fine gli elettori sarebbero arrivati sulla scorta della storia, della tradizione,
dell’abitudine e della stanchezza. Non si è capito che la stanchezza porta al
non voto ( non si considera mai l’astensionismo una opzione) e che la tradizione
non esiste più. La tradizione e la storia di un partito sono come una piantina,
se non si annaffiano, appassiscono. Quelli motivati in questo bailamme sono gli
incazzati che di norma votano destra o per i 5 stelle e i risultati si vedono.
Il PD anche in provincia di Arezzo è apparso un pugile infiacchito
e con la guardia abbassata ed è stato facile riempirlo di cazzotti. D’altra parte c’è poco da pretendere in questo
tempo in cui piccoli chihuahua abbaiano come cani lupi senza però avere denti e
fisico.
E’ necessario che il PD ricominci a macinare politica e
a dire le cose come stanno, e cioè che le conventicole “ad personam” stanno
mangiando tutta l’eredità, che occorre ripristinare criteri rigorosi di
selezione della classe dirigente e soprattutto mostrare nei fatti da che parte
stiamo.
Come ricorda il proverbio spagnolo “Camarón que se duerme
se lo lleva la corriente”, il gambero che dorme se lo porta via la corrente, e
qui la corrente comincia a essere forte.
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