Abbiamo
aspettato qualche giorno per dire la nostra (sempre che conti qualcosa) sull'esito delle #elezioni, abbiamo aspettato perché è bene come direbbe
qualcuno “farsi un’idea” senza cedere alle emozioni. Quello che viene fuori da
un lato ci fortifica nelle nostre convenzioni e dall'altro ci fa cedere le
braccia.
Lasciamo
per un momento da parte i commenti dei giornalisti, “vil razza dannata”, che
hanno tutto il diritto di modificare le proprie convinzioni in relazione ai
risultati. Fatto normale in un paese
abituato a svolte repentine e vigliacche, a cominciare dal 25 luglio del 1943
per finire alle monetine lanciate contro Craxi da quelli che fino il giorno
prima strisciavano come vermi.
Quello
che però ci fa sorridere (amaramente) sono le analisi dei politici. I filoni di pensiero sono essenzialmente due.
C’è chi sostiene che il centrosinistra ha smarrito il senso della sua storia e dunque
paga le conseguenze di un arretramento culturale, oltre che un pauroso vuoto di
analisi e quelli che invece affermano che il #PD ha perso perché ha fatto poca
innovazione.
In
quanto ai primi sarebbe opportuno che alle parole dessero coerenza. Dove per
coerenza s’intende che dal dire è necessario passare al fare. Invece ha
prevalso la logica del “falso unanimismo”, della fottuta paura della rottura.
Le divisioni sono sempre state la dannazione della #sinistra per cui, per
quanto possibile, è bene evitarle ma poi si arriva a un punto in cui i nodi
vanno sciolti, l’alternativa è chinare la testa e in troppi hanno scelto di
abbassare il capo.
Il
mondo è cambiato e le vecchie ricette funzionano a singhiozzo dichiara
qualcuno, però quello che Romano #Prodi ha detto è di una limpidezza
cristallina, quelli che ancora coltivano un sogno di sinistra non possono accettare
supinamente che “la gente si rassegni a un welfare
smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più
lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo
senso d’ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un
generico cambiamento radicale".
Vero o falso? Vero.
In
quanto a chi dice che c’è stata poca #innovazione l’unica riposta da dare è “di
quale cazzo di innovazione parlate”?
Sarebbe
interessante capirlo. Volete ancora teste da tagliare? Ideali da mettere in un
baule? Volte continuare a dire che Marchionne è un esempio? E poi ci si
meraviglia se nei quartieri operai di Torino si prendono sonore scoppole?
Tagliare
teste alla lunga non paga perché le teste finiscono e i problemi restano. Questo
per dire che le cose sono un tantinello più complicate. Per esempio un partito
riformista serio non avrebbe abbandonato la #Grecia al suo destino, assecondando
l’Europa dei ricchi, così come non avrebbe tollerato in maniera supina la distruzione
della classe media, l’impoverimento della gente, l’aumento della disuguaglianza.
Non avrebbe accettato il diktat del FMI sulle banche, sul contenimento della
spesa pubblica, sulla privatizzazione dei servizi. Populismo? No, un altro modo
di intendere lo sviluppo.
Per
questo checché se ne dica il voto non è solo un voto locale. E smettiamola una
buona volta di guardare solo chi è andato votare, i numeri non rendono
giustizia di quanto è successo. Il primo partito è quello del non voto e dentro
quel contenitore ci sta tanto elettorato di sinistra demotivato, deluso,
incazzato, che non se la sente di votare per cinque stelle ma nemmeno per il
PD.
In
quanto alla situazione Aretina c’è poco da dire: le ultime elezioni sanciscono un
passaggio epocale: per la prima volta nella storia moderna (pare che una cosa
simile sia accaduta nel 1920) la maggioranza di questa provincia non è
governata dal centro sinistra. Qualcosa vorrà pur dire. E’ solo questione di divisioni
interne? Quelle hanno pesato parecchio. Abbiamo assistito a uno spettacolo
indecoroso, dove le ambizioni personali si sono mascherate da opzioni
politiche. Dove il nuovismo diventa una specie di ascensore e non si lesinano gomitate
a destra e a sinistra. Il risultato è
che insieme ai capitani si sono affondate le navi. Tutto questo mostra un tremendo
deficit di politica e autorevolezza. Ma certo è difficile essere autorevoli quando
da una parte si costruisce e dall'altra si disfa e in questa opera di
decomposizione sono parte attiva quelli che per ruolo e responsabilità dovrebbero dare una
mano per tenere in piedi la baracca.
Visione
miope perché quando si perdono i capisaldi alla fine crolla tutta la linea di difesa.
A certi personaggi Diện Biên Phủ
non ha insegnato niente. Ma oltre ai personalismi, c’è di peggio. Il Pd non è stato
in grado di capire che la situazione economica e sociale anche dalle nostre
parti è cambiata. La gente è arrabbiata, insicura, delusa. La crisi economica
c’è, è inutile far finta di niente, c’è chi sguazza nell'oro e quelli che non
arrivano a fine mese. Ma di fronte a
questo scenario come si sviluppano per esempio le politiche dei servizi? C’è
qualcuno che s’interessa del costo delle bollette dei rifiuti, dell’acqua, dei tickets
sanitari, degli asili? No, si maneggia per piazzare quello o quell'altro nei
CDA con inciuci che gridano vendetta al cielo.
In
queste condizioni dove vogliamo andare? L’unica soluzione è cominciare a
chiamare le cose con il loro nome, ma per far questo non basta una riunione tra
pochi intimi, ci vuole un congresso. A chi obbietta che il congresso non è
previsto dagli statuti, dai regolamenti, dalle regole diciamo basta, in una
situazione di emergenza le regole non valgano. A Roma, situazione oggettivamente
complicata il PD farà il suo congresso, perché non ad Arezzo? Da noi non c’è
mafia capitale ma sicuramente i problemi politici non sono da meno.
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