mercoledì 22 giugno 2016

BOTTE IN TESTA AL PD E AD AREZZO CHE SI FA?


Abbiamo aspettato qualche giorno per dire la nostra (sempre che conti qualcosa) sull'esito delle #elezioni, abbiamo aspettato perché è bene come direbbe qualcuno “farsi un’idea” senza cedere alle emozioni. Quello che viene fuori da un lato ci fortifica nelle nostre convenzioni e dall'altro ci fa cedere le braccia.
Lasciamo per un momento da parte i commenti dei giornalisti, “vil razza dannata”, che hanno tutto il diritto di modificare le proprie convinzioni in relazione ai risultati.  Fatto normale in un paese abituato a svolte repentine e vigliacche, a cominciare dal 25 luglio del 1943 per finire alle monetine lanciate contro Craxi da quelli che fino il giorno prima strisciavano come vermi. 
Quello che però ci fa sorridere (amaramente) sono le analisi dei politici.  I filoni di pensiero sono essenzialmente due. C’è chi sostiene che il centrosinistra ha smarrito il senso della sua storia e dunque paga le conseguenze di un arretramento culturale, oltre che un pauroso vuoto di analisi e quelli che invece affermano che il #PD ha perso perché ha fatto poca innovazione.

In quanto ai primi sarebbe opportuno che alle parole dessero coerenza. Dove per coerenza s’intende che dal dire è necessario passare al fare. Invece ha prevalso la logica del “falso unanimismo”, della fottuta paura della rottura. Le divisioni sono sempre state la dannazione della #sinistra per cui, per quanto possibile, è bene evitarle ma poi si arriva a un punto in cui i nodi vanno sciolti, l’alternativa è chinare la testa e in troppi hanno scelto di abbassare il capo.

Il mondo è cambiato e le vecchie ricette funzionano a singhiozzo dichiara qualcuno, però quello che Romano #Prodi ha detto è di una limpidezza cristallina, quelli che ancora coltivano un sogno di sinistra non possono accettare supinamente che “la gente si rassegni a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso d’ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale".
Vero o falso? Vero.
In quanto a chi dice che c’è stata poca #innovazione l’unica riposta da dare è “di quale cazzo di innovazione parlate”?
Sarebbe interessante capirlo. Volete ancora teste da tagliare? Ideali da mettere in un baule? Volte continuare a dire che Marchionne è un esempio? E poi ci si meraviglia se nei quartieri operai di Torino si prendono sonore scoppole? 
Tagliare teste alla lunga non paga perché le teste finiscono e i problemi restano. Questo per dire che le cose sono un tantinello più complicate. Per esempio un partito riformista serio non avrebbe abbandonato la #Grecia al suo destino, assecondando l’Europa dei ricchi, così come non avrebbe tollerato in maniera supina la distruzione della classe media, l’impoverimento della gente, l’aumento della disuguaglianza. Non avrebbe accettato il diktat del FMI sulle banche, sul contenimento della spesa pubblica, sulla privatizzazione dei servizi. Populismo? No, un altro modo di intendere lo sviluppo.
Per questo checché se ne dica il voto non è solo un voto locale. E smettiamola una buona volta di guardare solo chi è andato votare, i numeri non rendono giustizia di quanto è successo. Il primo partito è quello del non voto e dentro quel contenitore ci sta tanto elettorato di sinistra demotivato, deluso, incazzato, che non se la sente di votare per cinque stelle ma nemmeno per il PD.
In quanto alla situazione Aretina c’è poco da dire: le ultime elezioni sanciscono un passaggio epocale: per la prima volta nella storia moderna (pare che una cosa simile sia accaduta nel 1920) la maggioranza di questa provincia non è governata dal centro sinistra. Qualcosa vorrà pur dire. E’ solo questione di divisioni interne? Quelle hanno pesato parecchio. Abbiamo assistito a uno spettacolo indecoroso, dove le ambizioni personali si sono mascherate da opzioni politiche. Dove il nuovismo diventa una specie di ascensore e non si lesinano gomitate a destra e a sinistra.  Il risultato è che insieme ai capitani si sono affondate le navi. Tutto questo mostra un tremendo deficit di politica e autorevolezza. Ma certo è difficile essere autorevoli quando da una parte si costruisce e dall'altra si disfa e in questa opera di decomposizione sono parte attiva quelli che  per ruolo e responsabilità dovrebbero dare una mano per tenere in piedi la baracca.
Visione miope perché quando si perdono i capisaldi alla fine crolla tutta la linea di difesa. A certi personaggi Din Biên Ph  non ha insegnato niente. Ma oltre ai personalismi, c’è di peggio. Il Pd non è stato in grado di capire che la situazione economica e sociale anche dalle nostre parti è cambiata. La gente è arrabbiata, insicura, delusa. La crisi economica c’è, è inutile far finta di niente, c’è chi sguazza nell'oro e quelli che non arrivano a fine mese.  Ma di fronte a questo scenario come si sviluppano per esempio le politiche dei servizi? C’è qualcuno che s’interessa del costo delle bollette dei rifiuti, dell’acqua, dei tickets sanitari, degli asili? No, si maneggia per piazzare quello o quell'altro nei CDA con inciuci che gridano vendetta al cielo.
In queste condizioni dove vogliamo andare? L’unica soluzione è cominciare a chiamare le cose con il loro nome, ma per far questo non basta una riunione tra pochi intimi, ci vuole un congresso. A chi obbietta che il congresso non è previsto dagli statuti, dai regolamenti, dalle regole diciamo basta, in una situazione di emergenza le regole non valgano. A Roma, situazione oggettivamente complicata il PD farà il suo congresso, perché non ad Arezzo? Da noi non c’è mafia capitale ma sicuramente i problemi politici non sono da meno.



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