Qualcosa si muove sul fronte delle #“Leopoldine”: è di questi
giorni la notizia dell’ormai prossima sigla, su quest’ argomento, di un
protocollo d’intesa tra Regione Toscana e Comuni di Arezzo, Castiglion
Fiorentino, Civitella Val di Chiana, Cortona, Foiano, Marciano della Chiana,
Monte San Savino, Montepulciano, Sinalunga e Torrita di Siena.
Per chi non lo sapesse le “Leopoldine” sono le case coloniche
costruite durante la bonifica della #Val di Chiana. Si chiamano così perché a
volerle fu appunto il granduca Pietro Leopoldo, un grande del suo tempo, famoso
per le idee innovative e per l’amore che portò alla nostra terra.
La gran parte di questi immobili, che rappresentano una testimonianza
fondamentale della nostra memoria storica, sono ormai messi male: abbandono, incuria,
trasformazioni edilizie devastanti sono oggi i nemici di combattere. Finalmente
qualcuno ha capito che il complesso insediativo della #bonifica granducale,
fatto di ville, fattorie e 'Leopoldine', rappresenta un “unicum” che necessità
di un piano organico e non può essere abbandonato allo sghiribizzo di ogni singola
amministrazione.
Già questo è un passo avanti, ma quella che conta al di là delle
belle parole è la sostanza. Nell'accordo c’è scritto che verrà promosso il
recupero delle strutture anche tramite la loro destinazione a usi non agricoli.
Che vuol dire?
Vuol dire che saranno ammessi oltre agli agriturismi e alla
destinazione a impresa agricola, anche la residenza (perché c’era una legge che
la vietava?) le attività e i servizi legati alla promozione del territorio, le
attività legate al terziario, oltre a funzioni turistico recettive e edilizia sociale.
Niente di nuovo sotto il sole verrebbe da dire, anche oggi con una
variante, lunga e onerosa come lo sono le varianti, si poteva ottenere lo
stesso scopo. Dov'è dunque la novità?
La novità sta che le Leopoldine sono riconosciute, insieme all'originalità dei centri storici, come un tratto unico e irripetibile della nostra vallata.
Questo significa che occorre un impegno maggiore che va ben oltre il loro semplice
recupero. Vuol dire immettere risorse importanti per la tutela di tutti gli
altri manufatti legati alla bonifica: fattorie (a proposito che fine farà la
fattoria di Montecchio?) a cui si aggiungono ponti, canali, approdi, argini
rialzati, bacini artificiali, mulini, pescaie, gore, caselli, chiuse; i resti
del settecentesco Argine di separazione fra i bacini di Tevere e Arno nei
pressi di Chiusi Scalo, il Callone di Valiano, la botte allo Strozzo, la
Fattoria con la Colmata di Brolio, L'Allacciante dei Rii castiglionesi, la
Chiusa dei Monaci, i ponti di ferro ottocenteschi tipo zorès i caselli
idraulici, i manufatti di immissione.
Insomma occorre pensare in grande se davvero vogliamo far
diventare questo patrimonio un’attrazione per il turismo internazionale. In
questo senso ci vogliono più risorse per il mantenimento delle ciclopiste, più
soldi per realizzarne di nuove, più punti sosta, più #marketing territoriale. La
Regione può svolgere un ruolo importante non solo di raccordo ma anche di
canalizzazione di flussi finanziari privati e pubblici a cominciare da quelli
europei. In questo quadro, all'apparenza idilliaco, non può mancare un richiamo
allo sviluppo industriale. Chi pensa, con questi interventi, di sopperire alla
caduta verticale delle piccole e medie imprese e delle industrie ha il salame
sugli occhi. Per questo non sarebbe male se, accanto alle Leopoldine, la Regione
Toscana si facesse parte attiva nel mettere insieme un tavolo per lo sviluppo industriale
a cominciare dalla ormai annosa questione della riconversione dell’ ex zuccherificio.
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