Un
autore, di cui non ricordiamo il nome, diceva che “il senno di poi è come essere lungimiranti sul
passato”, aveva perfettamente ragione. In questo caso ci riferiamo alla
ormai celebrata (in senso negativo) trasmissione di Bruno Vespa dove è stato
invitato il figlio di Totò Riina.
Tutti
gridano allo scandalo, noi non ci uniamo al coro, ma non perché giudichiamo
positivo il fatto che il figlio di un boss sia andato in TV con un atteggiamento
omertoso, ma perché Vespa ha fatto quello che tantissimi altri fanno
quotidianamente senza suscitare alcun scalpore.
Vespa ha promosso la sua trasmissione lanciando un petardone gigante che
ha prodotto molto rumore, il petardone si chiama Salvo Riina.
Dal
suo punto di vista ha fatto bene, con questa mossa ha rivitalizzato un
programma che si stava avviando a un lento declino dopo anni di leccamenti a
destra e a sinistra. Quelli che oggi piangono lacrime amare, dalla Commissione
di Vigilanza ai vertici RAI, dovevano intervenire prima e non si sarebbe
trattato di censura, come qualche sbadato dice, ma di un intervento di sanificazione
dell’informazione.
Un
po’ come quando si spurgano i pozzi neri, ma troppi pozzi ci sarebbero da
spurgare.
Qualcuno
tra questi moralisti d’accatto ci deve infatti spiegare la differenza tra la
mossa “pubblicitaria” di Vespa e le
locandine, le famose civette, in particolare quelle dei quotidiani locali che stazionano
fuori dalle edicole.
Quasi
quotidianamente leggiamo titoloni sparati ad alzo zero (che fanno il pari con
la mossa di Salvo Riina) che poi non trovano corrispondenza nei fatti, articoli
che preannunciano chissà quali sconquassi e poi si riducano a “fuffa”.
Nessuno
ha mai considerato che quei titoli, deflagranti come bombarde, colpiscono al
cuore, famiglie, affetti e dignità. Su questa vergogna nessuno ha mai speso una
parola, abbiamo letto recentemente il richiamo di una giovane giornalista al
direttore di un quotidiano che notoriamente le spara grosse.
Riproduciamo
l’ultima parte di quella nota perché serva da monito a tutti gli articolisti, o
presunti tali, che campano “sputtanando” le persone senza nemmeno correggersi quando
è palese il loro errore. Ecco quello che afferma la giornalista: “L’inciviltà
del linguaggio e delle relazioni sociali è legata a quell'inciviltà politica
che produce corruzione, clientelismo e malaffare a tutti i livelli e che tu
denunci. Non è una questione di forma, di politically
correct, di superficie, di moralismo ma di contenuti. E’ questione
di cultura. Perché
le parole che noi (anche e soprattutto come giornaliste e giornalisti)
scegliamo per esprimerci tessono pensieri, emozioni, rappresentano e offrono
visioni sul mondo. Di questo siamo responsabili”.
Bravissima.
E noi che giornalisti non siamo diciamo che chi condanna Vespa dovrebbe trovare
la stessa forza per condannare tutti i Vespini che, pur di vendere una copia in
più, sarebbero disposti a cedere la sorella a un bordello di Bangkok.
Nessun commento:
Posta un commento