venerdì 8 aprile 2016

VESPA, RIINA E I VESPINI LOCALI

Un autore, di cui non ricordiamo il nome, diceva che “il senno di poi è come essere lungimiranti sul passato”, aveva perfettamente ragione. In questo caso ci riferiamo alla ormai celebrata (in senso negativo) trasmissione di Bruno Vespa dove è stato invitato il figlio di Totò Riina.
 
Tutti gridano allo scandalo, noi non ci uniamo al coro, ma non perché giudichiamo positivo il fatto che il figlio di un boss sia andato in TV con un atteggiamento omertoso, ma perché Vespa ha fatto quello che tantissimi altri fanno quotidianamente senza suscitare alcun scalpore.  Vespa ha promosso la sua trasmissione lanciando un petardone gigante che ha prodotto molto rumore, il petardone si chiama Salvo Riina.
Dal suo punto di vista ha fatto bene, con questa mossa ha rivitalizzato un programma che si stava avviando a un lento declino dopo anni di leccamenti a destra e a sinistra. Quelli che oggi piangono lacrime amare, dalla Commissione di Vigilanza ai vertici RAI, dovevano intervenire prima e non si sarebbe trattato di censura, come qualche sbadato dice, ma di un intervento di sanificazione dell’informazione.
Un po’ come quando si spurgano i pozzi neri, ma troppi pozzi ci sarebbero da spurgare.

Qualcuno tra questi moralisti d’accatto ci deve infatti spiegare la differenza tra la mossa “pubblicitaria” di Vespa  e le locandine, le famose civette, in particolare  quelle dei quotidiani locali che stazionano fuori dalle edicole.  
Quasi quotidianamente leggiamo titoloni sparati ad alzo zero (che fanno il pari con la mossa di Salvo Riina) che poi non trovano corrispondenza nei fatti, articoli che preannunciano chissà quali sconquassi e poi si riducano a “fuffa”. 
Nessuno ha mai considerato che quei titoli, deflagranti come bombarde, colpiscono al cuore, famiglie, affetti e dignità. Su questa vergogna nessuno ha mai speso una parola, abbiamo letto recentemente il richiamo di una giovane giornalista al direttore di un quotidiano che notoriamente le spara grosse.
Riproduciamo l’ultima parte di quella nota perché serva da monito a tutti gli articolisti, o presunti tali, che campano “sputtanando” le persone senza nemmeno correggersi quando è palese il loro errore. Ecco quello che afferma la giornalista: “L’inciviltà del linguaggio e delle relazioni sociali è legata a quell'inciviltà politica che produce corruzione, clientelismo e malaffare a tutti i livelli e che tu denunci. Non è una questione di forma, di politically correct, di superficie, di moralismo ma di contenuti. E’ questione di cultura. Perché le parole che noi (anche e soprattutto come giornaliste e giornalisti) scegliamo per esprimerci tessono pensieri, emozioni, rappresentano e offrono visioni sul mondo. Di questo siamo responsabili”.

Bravissima. E noi che giornalisti non siamo diciamo che chi condanna Vespa dovrebbe trovare la stessa forza per condannare tutti i Vespini che, pur di vendere una copia in più, sarebbero disposti a cedere la sorella a un bordello di Bangkok. 

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