Tra
qualche giorno si celebrerà il 25 aprile. Una ricorrenza istituita, lo rammentiamo
per chi ha la memoria corta, il 27 maggio 1949, con la
dicitura “Anniversario della Liberazione”.
Liberazione da chi e da cosa? La riposta
all'apparenza è facile: liberazione dall'occupazione nazista, dal fascismo di Salò,
e “mutatis mutandis” dall'orrore della guerra, anche se il secondo conflitto
mondiale è continuato fino ai primi di maggio.
Da allora quest’anniversario è
stato celebrato, con più o meno convinzione, in tutta Italia. In moltissimi casi
occorre dire con scarsissima convinzione. Le ragioni sono essenzialmente due,
da una parte perché la resistenza è stata, con un’operazione storica
discutibile, assimilata in tutto e per tutto alla tradizione comunista. E le
piazze del 25 aprile, dove la facevano da padroni fazzoletti e bandiere rosse, erano
viste dai “moderati” con sospetto.
Il movimento partigiano, in effetti, è stato
una questione complessa, che ha visto comunisti, socialisti, democratici
cristiani, monarchici, azionisti combattere sullo stesso fronte ma con
obbiettivi diversi e non è stato solo una epopea gloriosa ma vi sono stati
orrori, nefandezze, viltà e tradimenti. Quindi la semplificazione resistenza
uguale comunisti e marcia trionfale verso la libertà storicamente non regge.
La seconda ragione per cui il 25
aprile è stata visto da molti come una festa da celebrare con moderazione
deriva dal fatto che l’Italia non ha mai fatto i conti col proprio passato. Un
paese che il 24 luglio del 1943 va a letto fascista e il giorno dopo si
risveglia antifascista qualche sospetto lo fa nascere. Ma soprattutto non c’è
stata in Italia la voglia di voltare pagina e, in specie gli apparati pubblici,
sono passati senza soluzione di continuità dal ventennio alla Repubblica.
Detto questo veniamo alla cronaca,
ormai in Italia sono state “sdoganate” idee e gruppi politici che fino a
qualche anno addietro sarebbero stati considerati peggio della peste bubbonica.
Non è solo un problema di croci celtiche, saluti romani e feste per l’anniversario
della nascita di Hitler, il problema vero, anche se nessuno lo vuole ammettere,
è che non si può abolire per legge (legge 20 giugno 1952, n. 645) quello che alcuni (molti più di
quanto si pensi) portano nel cuore.
Per
questo affermiamo che la “Festa della Liberazione” deve essere celebrato solo
da chi ci crede. Siamo stanchi di assistere a colossali prese in giro per cui, amministrazioni
che hanno tra i loro fiancheggiatori aperti apologeti del fascismo, scendono in
piazza a ricordare il 25 aprile. Su questo invochiamo per certi sindaci “l’obbiezione
di coscienza”. Perché forzare le proprie idee? Sarebbe come chiedere a un musulmano
di celebrare la Pasqua o a un cristiano il Ramadan.
Vediamo
molta più logica in coloro che (provocatoriamente ma con coerenza) il 25 aprile
vanno per cimiteri a ricordare i caduti della RSI, almeno mostrano con
chiarezza da che parte stanno. Non perché ci sia bisogno di una “memoria divisa”
ma perché in ogni azione ci vuole rettitudine di principi e se essere onesti intellettualmente
vuol dire mostrare che apparteniamo a mondi diversi va bene così.
E’
molto peggio nascondersi, trasformando il 25 aprile in una festa dove tutti possono
riconoscersi senza fare i conti con la propria coscienza.
La
“liberazione” si porta dietro il ricordo di un periodo durissimo, orrendo, dove
italiani e italiani si sono sparati addosso, fucilati, torturati. Una guerra
civile di cui ancor oggi si parla con difficoltà. Siamo stanchi di retorica, siamo
stanchi di giochi di prestigio per cui anche il 25 aprile diventa, come diceva
Hegel, la notte “in cui tutti i gatti sono bigi”.
Per questo troviamo difficoltà
ad andare in piazza, a celebrare la festa della Liberazione, insieme a chi in
pubblico parla dei valori della Repubblica nata dalla resistenza, ma tiene
ancora (legittimante se quelle sono le sue idee), la camicia nera nell'armadio.
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