venerdì 15 aprile 2016

REFERENDUM, TRIVELLE ED ENERGIA: VOTARE O NON VOTARE?

Secondo il dettato costituzionale “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie, di bilancio, amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali ”.
I motivi sono facilmente comprensibili: sarebbe fin troppo facile abolire leggi che impongono le tasse, squilibrando così i conti dello Stato, com'è altrettanto evidente che indulti e amnistie sono argomenti ben poco popolari tra la gente. Per quanto riguarda invece i trattati internazionali è palese che in materia di rapporti tra stati gli impegni devono essere rispettati e quindi non possono sottostare alla spada di Damocle di un referendum.

Rispetto all'appuntamento di domenica riteniamo legittima qualunque posizione, compresa quella dell’astensione. Se, infatti, esiste un quorum per la validità del referendum astenersi è una “posizione politica” che ha la stessa dignità del No o del Si. Certo sarebbe preferibile che i contrari si presentassero alle urne, senza succhiare la ruota degli astensionisti di mestiere, che ormai rappresentano una bella porzione di elettorato.

Ma queste faccende riguardano marginalmente la domanda che poniamo: se il referendum non è ammesso per questioni di bilancio e tributarie (perché nessuno paga volentieri le tasse) è giusto sottoporre a referendum leggi che riguardano le politiche energetiche di un paese?
Questo quesito vale indipendentemente dalla quantità di petrolio o gas che viene estratto dalle piattaforme. Parliamoci chiaro, qui non è in ballo la scelta tra combustibili fossili ed energie pulite. Col referendum non si vieta di utilizzare petrolio, carbone o gas. Quindi dire che è una scelta “di vita” non è corretto, però si sancisce un principio, e cioè che i referendum possono decidere sul futuro degli investimenti, sul destino di tanti lavoratori e sancire quindi la fragilità della politica industriale del paese.  
Il fatto è che da quando è stata approvata la Costituzione di acqua sotto i ponti, ne è passata parecchia, allora il tema energia non era così importante. Oggi l’energia è diventata strategica per la nazione e la sua economia. 
Ripetiamo la domanda, è giusto delegare a un referendum decisioni di questo tipo?   
A nessuno piace che nel suo territorio ci siano centrali elettriche, a nessuno piace che vicino casa installino un parco fotovoltaico, nessuno ama le centrali a biomasse, i gassificatori, le dighe, il geotermico, in pochi venerano le pale eoliche.
L’Italia ha il brutto difetto di essere stretta, lunga e antropizzata (cioè ci abita parecchia gente), non ha spazi disabitati dove sistemare tutta questa roba e quindi alla fine qualcuno che si lamenta si trova sempre.
Su queste faccende la politica non ha il coraggio di decidere perché dietro ogni angolo è pronto il comitato, l’intellettuale con buoni agganci nei giornali, gli pseudo esperti pronti ad azzannarti alla gola con argomentazioni da “guerra dei mondi”: tumori, malattie respiratorie, terremoti, balene moribonde, uccelli migratori impazziti, vitelli con due teste, donne sterili. Un campionario che spaventerebbe perfino un tipo tosto come Gengis Khan.  
Il percorso intrapreso dalle Regioni contro le trivelle è comprensibile, però si ritorna al punto di partenza: contano più gli interessi di una singola regione o quelli di un intero paese? E’ manifesto che qualora questi impianti fossero dannosi per la salute pubblica sarebbe tutta un’altra storia, ma allora andrebbero vietati del tutto, senza aspettare la scadenza della concessione.

Se poi uno va a votare per fare dispetto a Renzi è affar suo, ma in questo caso il petrolio e i suoi derivati non c’entrano una pippa. 

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