Non
c’è bisogno di scomodare Italo Svevo, il quale sosteneva che “si piange quando
si grida all'ingiustizia” per avere un motivo di mandare a quel paese coloro
che, all'indomani degli attentati di Bruxelles, hanno criticato l’l'Alto
rappresentante dell'Unione per gli affari esteri Federica Mogherini per aver pianto in
pubblico.
Tra
tutti spicca Giorgia “lady di ferro” Meloni la quale ha rilasciato una dichiarazione
di questo tipo “mi vergogno di essere rappresentata in Europa da
Federica Mogherini, Alto rappresentante della UE per la politica estera e di
sicurezza, che ieri è scoppiata a
piangere durante la conferenza stampa sui fatti di Bruxelles. È il simbolo di un' Europa debole, molle e
incapace davanti agli attacchi che subisce. Mi auguro che la Mogherini, dopo
questa figuraccia, voglia dimettersi”.
Quindi,
secondo la Meloni le lacrime sarebbero una sorte di viatico per i tagliagole.
Strana equazione. Noi eravamo convinti che il
sostegno ai terroristi arrivasse da paesi, formalmente alleati dell’Occidente
che, come ha scritto Lucia Annunziata, finanziano lo stato Islamico, credevamo
che gli incoraggiamenti agli stragisti arrivassero dalle incertezze europee e
americane nell'affrontare con decisione il problema dell’ISIS, eravamo convinti
che la mancata integrazione di intere generazioni di immigrati di seconda e terza generazione fosse una delle cause di
adesione a una ideologia aberrante.
Invece no, sono le lacrime della Mogherini
a essere messe sotto la lente d’ingrandimento.
Il pianto come paradigma della debolezza,
niente di più sbagliato. Chi sostiene questa tesi dovrebbe andare a rileggersi
l’Iliade, quella parte in cui Omero parla di Achille che si scioglie in pianto
alla vista del cadavere martoriato di Patroclo. La differenza è
che dopo aver versato copiose lacrime l’eroe greco, si rivestì dell’armatura e
andò a vendicare l’amico.
Non è il pianto, il problema. Il pianto, come dice l’onorevole
Binetti “è un segnale di grandissima umanità, non si può che
piangere vedendo lo scempio che è stato fatto”.
Chi tra noi non si emozionato osservando i volti
delle vittime delle Torri Gemelle, di Parigi, della Stazione di Atocha e di
Bruxelles? Solo un cuore di pietra potrebbe non commuoversi. Anche se dobbiamo
dirlo, la stessa emozione spesso non si prova difronte ai massacri perpetrati
in Nigeria o in Malì da quelle stesse mani insanguinate che attaccano il cuore
dell’Europa. Il problema non è il pianto ma quello che ne segue.
Se ci si limita a singhiozzare e non si fa niente,
allora davvero le lacrime diventano inutili. Domandiamoci perché di fronte a
una minaccia globale non si riesce a mettere in piedi un’azione forte e decisa.
L’unico che ci ha provato, con i suoi limiti, è stato Putin e, almeno sul terreno
militare, qualche risultato l’ha raggiunto.
Sarebbe grave se avesse ragione chi dice che “questa Europa
non è solo codarda, ma anche autolesionista.
O meglio, si può a questo punto anche dubitare che sia interesse e volontà di
governi sempre più screditati proteggere le vite dei propri cittadini. Si può
ipotizzare che qualcuno abbia pensato che, in fondo, il clima di panico
instaurato dalle organizzazioni terroristiche possa essere utilizzato per far
digerire all'opinione pubblica qualsiasi misura antipopolare. Da che mondo è
mondo lo stato di guerra mette a tacere ogni opposizione e sempre più si parla,
anche se a sproposito, di guerra”.
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