Tutti
parlano di Verdini e della fiducia da lui concessa al governo Renzi, è giusto
che se ne discuta perché non è vero, come sembra teorizzare la ministra Boschi,
“che i voti non puzzano”. Alcuni voti
come i soldi “iniziano a puzzare” se non si capisce da dove arrivano e
soprattutto perché arrivano.
Non
siamo però così ingenui da non capire che la questione Verdini fa parte della
politica, cioè entra a pieno titolo nelle dinamiche dell’arte del governo.
A
chi oggi fa lo schizzinoso, ricordiamo il precedente di Cossiga e il sostegno
bipartisan al governo Letta. Detto altrimenti la politica si regge su equilibri
e spesso “Parigi val bene una messa” come disse Enrico di Navarra. Però tutto
deve avvenire nella chiarezza.
Un
fenomeno invece che si può senz'altro definire di “putrefazione” della politica
è quello dei transfughi. Tutti s’incazzano per Verdini e nessuno prende carta e
penna per denunciare che un parlamentare su quattro ha cambiato partito: ben 226,
121 a Montecitorio e 105 a Palazzo Madama. Se fondassero il “Partito dei disertori”
rappresenterebbero il secondo gruppo parlamentare.
E’
una situazione che “grida vendetta al cielo” e non serve appellarsi articolo 67
della nostra bella Costituzione: “ogni membro del Parlamento rappresenta la
Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Troppo facile e
soprattutto troppo comodo.
Come spiegò benissimo alla Costituente uno dei relatori,
il giurista
Costantino Mortati, quest’articolo serviva per «sottrarre il deputato alla rappresentanza di
interessi particolari, significa che esso non rappresenta il suo partito o la
sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme».
Giustissimo, ma da qui a
fare i “cazzi propri”, magari a fronte di vantaggi più o meno immediati, cambiando
maglia, come certi giocatori di calcio, ce ne corre parecchio.
In qualità di elettori dovremmo sentirci tutti
offesi, anzi presi in giro, quando il deputato eletto nella lista che abbiamo
votato cambia partito e di conseguenza schieramento.
Quel signore ha avuto da noi un mandato per sostenere
un programma di governo e gli interessi di un territorio, non è andato a Roma
in gita di piacere.
Ecco perché chi decide di cambiare partito, non votare
difformemente dalle indicazioni di partito (cosa ben espressa dall'articolo 67
della Costituzione), deve rassegnare immediatamente le dimissioni.
E non valgono nemmeno le multe. L’idea dei cinque
stelle di monetizzare l’infedeltà politica, ricorda da vicino gli indennizzi
dei divorzi. Qui non c’è da trasformare in denaro un bel niente. Chi cambia
casacca si deve semplicemente levare di torno lasciando il posto a chi viene
dopo.
Come mai, ci domandiamo questa pratica tanto
diffusa in parlamento attecchisce molto meno negli Enti locali? Eppure anche lì
frizioni e difficoltà non mancano. La risposta è che un consigliere comunale,
specie nei nostri centri, è molto più vicino alla gente e sente sulla propria
pelle il disprezzo e la rabbia per quello che si può definire senza mezzi
termini un tradimento. Noi non siamo per mettere alla gogna i transfughi,
chiediamo solo che ci sia, da parte loro, un sussulto di dignità. E se questo
manca ci vuole un legge che non cancelli la libertà di mandato, il cui significato
è ben spiegato da Costantino Mortati, ma
vieti il fatto di fare “i cavoli propri”, utilizzando la carica che in quel
momento si ricopre.
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