Secondo
quanto riporta The Independent il presidente turco Erdogan, ha chiesto di
etichettare sotto la voce “terroristi” i politici (a lui contrari) ,gli
attivisti civili e i giornalisti.
"Non
solo la persona che preme il grilletto, ma tutti quelli che hanno reso
possibile ciò dovrebbero essere definiti come terroristi, a prescindere dal
loro titolo" ha affermato il presidente turco.
Nel
nostro paese, nei tempi bui del terrorismo, un famoso professore di Padova
scrisse ” risento il calore della comunità operaia e proletaria tutte le volte
che mi calo il passamontagna” e un altro parlò di “geometrica potenza”
riferendosi alle Brigate Rosse. Istigazioni belle e buone a praticare la
violenza. Si può obbiettare che si trattava di un linguaggio immaginifico, teso
ad esaltare ed esasperare i concetti filosofici che stavano dietro alle lotte
di piazza.
Tutte
cazzate, nella testa di qualcuno quelle parole diventarono ferro e fuoco trasmutandosi
in piombo. Bisogna stare attenti quando si gioca con le parole, specialmente
quando chi le pronuncia dispone di un megafono forte, come una cattedra universitaria
o una pagina di giornale.
Il
contesto di allora è ben diverso da quello della Turchia di oggi, i nemici a
cui Erdogan intende mettere la museruola non sono fiancheggiatori dei
terroristi ma tutti quelli che non la pensano come lui: gli intellettuali
laici, i giornali indipendenti, gli attivisti dei diritti civili.
Però
le sue parole, per quanto irricevibili, dovrebbero farci riflettere sul ruolo
che alcune figure svolgono nel formare l’opinione pubblica. Nessuno in tal
senso deve sentirsi immune da responsabilità. Non lo sono i politici che urlano
o creano illusioni, non lo sono gli intellettuali ma più di tutti non lo sono i
giornalisti. Alcuni si considerano al di là del bene e del male, senza tener
conto che quando si scrive o si parla c’è sempre una responsabilità da
assumersi. Chi offre notizie non deve condizionare
l’informazione nella pretesa di creare o di formare l’opinione pubblica, ci
sono dei limiti che si chiamano veridicità e correttezza delle informazioni e
delle opinioni, una campagna giornalistica che parte da posizioni precostituite
e da rigettare come la peggiore delle sciagure.
Eppure spesso
di
questi principi elementari è
fatta
carta straccia: dalle grandi questioni internazionali
fino a scendere nelle beghe da cortile c’è la pretesa da parte di alcuni di condizionare
la testa della gente. Senza rendersi conto che così facendo armano
(in senso metaforico sia chiaro) la mano di una opinione pubblica
sempre in cerca di teste da tagliare e di colpevoli da appendere a un palo.
Proviamo ribrezzo
per questa
gentucola che
crede di viaggiare con la verità in una busta del supermercato per
distribuirla ai “poveri di spirito”.
In giro si avverte puzza di fogna
quando qualcuno intinge la penna nell’inchiostro in specie quando non si vuol
distinguere, non si vuol conoscere
e si deforma la verità. Chi opera così è in malafede e il
nobilissimo mestiere
di informare si trasforma nel suo contrario, nel lavoro dello strillone.
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