Quel che ha facilitato la cultura del Medioevo e
l'espansione fantastica delle Università, è che allora si usava una lingua
internazionale, la lingua dei chierici, il Latino”. Sono parole del compianto professore
Jacques Le Goff.
Ecco un argomento che non emerge mai quando si parla d’Europa:
la necessità di una lingua comune. Non basta aver stabilito che la
gran parte dei documenti ufficiali della UE vanno scritti, per
ragioni di tempi e costi, in sole tre lingue (Inglese, francese e
tedesco, non lo Spagnolo, benché sia la seconda lingua parlata al mondo).
Il problema però non è solo di
praticità ma d’identità. Per esempio gli Stati Uniti d’America hanno adottato
una lingua nazionale (l’inglese) che tuttavia non è lingua ufficiale a livello federale. Gli Stati Uniti d’Europa hanno invece ben 24 lingue
ufficiali e nessuna lingua nazionale, un vero manicomio.
E’ vero che gli USA non
sono l’Europa, da noi le lingue nazionali hanno un valore ben diverso che non
al di là dell’Atlantico. Da noi rappresentano culture, eredità storica, una
forma d’identità senza la quale non saremmo quello che oggi siamo. Però è
altrettanto sicuro che l’Europa, come unità politica oltre che economica, non
può esistere se, una volta passato il Brennero, non siamo più in grado di
capirci con il nostro vicino. Non è una questione da poco e siamo convinti che
tante incomprensioni, difficoltà, diffidenze, potrebbero essere superate se riuscissimo
a colloquiare direttamente con gli altri europei e non solo attraverso la mediazione
delle istituzioni o dei burocrati di Bruxelles.
Qualche tempo fa è venuta fuori una
proposta da parte di un latinista famosissimo come il benedettino
P. Caelestis Eichenseer, di stabilire come lingua comune europea il Latinus colloquialis.
Noi siamo più pratici e
diciamo soltanto che bisogna diventare tutti (nessuno escluso) almeno bilingue.
Non è sufficiente partire dalla scuola, occorre un grande programma internazionale
che dica agli europei che se vogliono essere davvero una “nazione” devono
parlare lo stesso idioma. In caso contrario rimarremo sempre dei separati in
casa. L’alternativa è continuare com'è successo fino a oggi, per cui imbastardiamo
l’italiano con termini stranieri e lasciamo ad altri il privilegio di intendersi
sulle cose che contano davvero. Senza conoscenze linguistiche la gran massa
delle persone rimane esclusa da ogni processo e di conseguenza sono le leggi
della finanza e dell’economia che dettano le regole dello stare insieme.
Un’Europa divisa dalla
babele di lingue fa comodo a chi vuole soltanto un’Europa mercantile non una
Europa che culturalmente possa dire la sua. La forza del nostro continente è
stata la sua cultura (dal medioevo fino all'epoca dei Lumi), senza cultura è un
nanetto difronte ai giganti che avanzano da Est e da ovest. Un grande investimento
pubblico per insegnare almeno un’altra lingua, oltre all'Italiano, si
renderebbe non solo necessario ma indispensabile. E sarebbe una bella
rivoluzione.
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