Il
15 febbraio 2016 ricorrevano i novanta anni dalla morte di Pietro Gobetti
(1901-1926), un intellettuale italiano tra i più grandi che, nella sua breve
vita, aveva messo a fuoco, con largo anticipo, tante cose di questo nostro
paese.
Sono
ancora attuali le sue preoccupazioni per la mancanza di una classe dirigente intesa
come classe politica, l’assenza di una vita economica moderna, la scarsità di
quella che potremo definire una coscienza civica.
L’Italia di oggi, in questi
aspetti, è forse molto diversa da quella degli inizi del novecento? Non ci
pare, siamo sicuramente più grassi, abbiamo più beni di consumo, conosciamo più
cose ma nella sostanza quei problemi sono rimasti invariati. Anzi, visto che il
mondo è andato avanti si sono perfino aggravati.
Gobetti
da lucido osservatore diceva “Senza conservatori e senza
rivoluzionari, l'Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico”.
In quella frase esiste un fondo di verità difficilmente smentibile. Tutti, più
o meno, siamo diventati demagoghi, e non solo in politica. Invece di
solleticare i sentimenti migliori che albergano nell'animo umano ci piace eccitare
i peggiori, quelli che consentono di strappare un consenso immediato. Una caratteristica
amplificata dall'uso delle nuove tecniche di comunicazione che, nello spazio di
un nanosecondo, ci consentono di raggiungere migliaia di persone.
Di fronte a questo scenario
Gobetti può sembrare antico, come arcaici possono, sembrare i fratelli Rosselli,
come antichi possono sembrare Gramsci, Sturzo e tutta la generazione d’intellettuali
che all’inizio del novecento cercò di rispondere in positivo alla crisi dell’Italia
liberale, uscita prostrata dalla prima guerra mondiale e incapace di
trasformarsi in una democrazia compiuta. Tutti quei nomi oggi sono considerati,
quando va bene, icone da mettere in un museo. Sbagliato, certo non possiamo
santificarli ma nemmeno buttarli come ferri vecchi nel magazzino della storia. Non
si può in politica come nella vita, prescindere da un orizzonte di valori. I
danni collaterali rischiano di essere irreparabili e per certi aspetti
violenti, disabituare le persone a pensare è sempre pericoloso.
Qualcuno potrà dire che
siamo superati, però una cosa l’abbiamo capita, senza fondamenta solide l’edifico
crolla. Gobetti diceva che “la politica deve
essere realizzata come forma di educazione”. In questo senso siamo diventati
assai maleducati oltre che ignoranti, basta guardare a quello che accade dal parlamento
al più piccolo Consiglio Comunale.
Nonostante tutto rimaniamo ottimisti, perché alla
fine come sta scritto nella rivoluzione liberale “si
può rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie che
improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e volontà di
espansione”. Queste energie a nostro avviso ancora ci sono.
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