lunedì 1 febbraio 2016

BANCA, POLITICA E TERRITORIO


E’ cosa buona che una Banca organizzi appuntamenti per incontrare imprese, associazioni e istituzioni per capire quello che bolle in pentola e quali siano le sollecitazioni che nascono del territorio. L’ha fatto Banca Valdichiana, confermando così la sua vocazione all'ascolto delle istanze che nascono dal basso.
Dopo settimane di bombardamento sul sistema bancario, bombardamento non immotivato, una piccola iniezione di fiducia ci voleva.
Detto, questo crediamo che i risultati debbano essere approfonditi e, come si dice, metabolizzati.

Una richiesta che è arrivata è quella di puntare sui giovani e sulle startup. Anche noi siamo convinti che l’autoimprenditorialità sia una delle chiavi di svolta del futuro, il problema è per fare cosa e soprattutto in che modo. Qui nascono gli interrogativi.
Se, infatti, guardiamo agli ultimi dati, ci accorgiamo che la Toscana, in tema di startup, che normalmente rappresentano lo specchio dei settori innovativi, ha perso posizioni.
E’ finita dietro la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, L’Emilia Romagna e anche dietro la Campania. In quest’ultima regione le nuove startup sono state 302 contro le 290 della Toscana. Il motivo di questo rallentamento?
Da alcune parti è identificato con un’eccessiva burocrazia regionale, da noi esiste, infatti, un doppio passaggio per ottenere i finanziamenti, da altri nella assenza di “venture capital”, cioè di capitali disposti a rischiare su un’ idea.
Su questo, forse, anche in Valdichiana dovremmo mettere un supplemento di attenzione. Non è sufficiente dire spazio alle imprese innovative, spazio ai giovani imprenditori (che certamente rappresentano il domani) se poi non si sa cosa fare.
I settori, che gli incontri di Banca Valdichiana hanno evidenziato come soggetti di crescita, sono il turismo, l’agricoltura, l’ambiente, l’agroalimentare. Tutti comparti che rispondo alla vocazione del nostro territorio.
A nostro avviso ne manca uno fondamentale, il manifatturiero. Qualcuno pensa che l’industria sia un residuo del passato, una specie di relitto incagliato sulla sabbia, che mai e poi mai potrà riprendere il largo. Noi è così. Lasciando da parte alcuni settori maturi, per i quali la concorrenza internazionale è spietata, l’industria continua a rappresentare un veicolo d’innovazione, senza industria non ci sono i servizi, senza industria manca la ricerca, insomma l’industria continua, volenti o nolenti, ad essere la spina dorsale di un sistema economico.
L’agroalimentare, di cui molti parlano, è un’industria, ma per prosperare e crescere ha necessità di logistica, infrastrutture e di una rete commerciale. In questo senso ragionare a casaccio di sviluppo del settore agricolo non significa niente.

Lo stesso ragionamento vale per l’ambiente. La parola “ambiente” riempie la bocca ma rimane una grande incognita. Cosa s’intende? La produzione di energia? Solo accennarlo è diventata una bestemmia.  Il trattamento dei rifiuti? Peggio che andar di notte. Le produzioni biologiche? Ottima cosa ma poi come si conciliano con il contesto territoriale e soprattutto con al redditività delle piccole e medie imprese agricole?  Allora, per favore, non limitiamoci ai titoli e cominciamo invece a scrivere i capitoli. Questo impegno non può certo essere chiesto a un istituto di credito, queste cose spettano alla tanto vituperata politica. Il problema è che la politica ha abdicato al suo ruolo limitandosi ormai alla mera gestione dell’esistente, è diventata una specie di spugna che assorbe tutto per poi alla fine decidere ben poco. 

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