E’
cosa buona che una Banca organizzi appuntamenti per incontrare imprese,
associazioni e istituzioni per capire quello che bolle in pentola e quali siano
le sollecitazioni che nascono del territorio. L’ha fatto Banca Valdichiana,
confermando così la sua vocazione all'ascolto delle istanze che nascono dal
basso.
Dopo
settimane di bombardamento sul sistema bancario, bombardamento non immotivato, una
piccola iniezione di fiducia ci voleva.
Detto,
questo crediamo che i risultati debbano essere approfonditi e, come si dice,
metabolizzati.
Una
richiesta che è arrivata è quella di puntare sui giovani e sulle startup. Anche
noi siamo convinti che l’autoimprenditorialità sia una delle chiavi di svolta
del futuro, il problema è per fare cosa e soprattutto in che modo. Qui nascono gli
interrogativi.
Se,
infatti, guardiamo agli ultimi dati, ci accorgiamo che la Toscana, in tema di
startup, che normalmente rappresentano lo specchio dei settori innovativi, ha perso
posizioni.
E’
finita dietro la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, L’Emilia Romagna e anche
dietro la Campania. In quest’ultima regione le nuove startup sono state 302
contro le 290 della Toscana. Il motivo di questo rallentamento?
Da
alcune parti è identificato con un’eccessiva burocrazia regionale, da noi
esiste, infatti, un doppio passaggio per ottenere i finanziamenti, da altri
nella assenza di “venture capital”, cioè di capitali disposti a rischiare su un’
idea.
Su
questo, forse, anche in Valdichiana dovremmo mettere un supplemento di attenzione.
Non è sufficiente dire spazio alle imprese innovative, spazio ai giovani imprenditori
(che certamente rappresentano il domani) se poi non si sa cosa fare.
I
settori, che gli incontri di Banca Valdichiana hanno evidenziato come soggetti di
crescita, sono il turismo, l’agricoltura, l’ambiente, l’agroalimentare. Tutti comparti
che rispondo alla vocazione del nostro territorio.
A
nostro avviso ne manca uno fondamentale, il manifatturiero. Qualcuno pensa che
l’industria sia un residuo del passato, una specie di relitto incagliato sulla
sabbia, che mai e poi mai potrà riprendere il largo. Noi è così. Lasciando da
parte alcuni settori maturi, per i quali la concorrenza internazionale è spietata,
l’industria continua a rappresentare un veicolo d’innovazione, senza industria
non ci sono i servizi, senza industria manca la ricerca, insomma l’industria
continua, volenti o nolenti, ad essere la spina dorsale di un sistema economico.
L’agroalimentare,
di cui molti parlano, è un’industria, ma per prosperare e crescere ha necessità
di logistica, infrastrutture e di una rete commerciale. In questo senso ragionare
a casaccio di sviluppo del settore agricolo non significa niente.
Lo
stesso ragionamento vale per l’ambiente. La parola “ambiente” riempie la bocca ma
rimane una grande incognita. Cosa s’intende? La produzione di energia? Solo accennarlo
è diventata una bestemmia. Il trattamento
dei rifiuti? Peggio che andar di notte. Le produzioni biologiche? Ottima cosa
ma poi come si conciliano con il contesto territoriale e soprattutto con al
redditività delle piccole e medie imprese agricole? Allora, per favore, non limitiamoci ai titoli
e cominciamo invece a scrivere i capitoli. Questo impegno non può certo essere
chiesto a un istituto di credito, queste cose spettano alla tanto vituperata
politica. Il problema è che la politica ha abdicato al suo ruolo limitandosi ormai
alla mera gestione dell’esistente, è diventata una specie di spugna che assorbe
tutto per poi alla fine decidere ben poco.
Nessun commento:
Posta un commento