“Il Tar dell’Emilia dice no alle benedizioni
pasquali a Scuola”, il Tribunale Amministrativo ha stabilito che “il principio costituzionale della
laicità o non confessionalità dello
Stato non significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa, ma
comporta piuttosto equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le
confessioni religiose (…) Non può, invece la scuola essere coinvolta
nella celebrazione di riti religiosi che sono essi sì attinenti
unicamente alla sfera individuale di ciascuno - secondo scelte private di
natura incomprimibile - e si rivelano quindi estranei a un ambito pubblico
che deve di per sé evitare discriminazioni”.
Ci
permettiamo alcune brevi considerazioni.
In punto di
legge crediamo che il TAR non abbia torto, se la laicità viene letteralmente intesa
come separazione
fra la sfera religiosa e la sfera dello stato il suo appunto è ineccepibile.
Detto in altre parole l’applicazione astratta del principio è corretta.
Il problema
è che la legge non può non tener conto di un quadro consolidato di tradizioni e
di culture. Ecco perchè la sentenza del TAR ci lascia perplessi.
Noi siamo
per la laicità dello Stato ma non siamo d’accordo a trasformare la laicità in
un’arma contundente che scalza dal suo piedistallo usi e costumi consolidati
che fanno parte della nostra identità.
Non
crediamo che i presepi, l’acqua santa, i canti di Natale, i crocefissi facciamo
male a qualcuno. Anzi possono essere in moltissimi casi una occasione per aprire un confronto a trecentosessanta
gradi con altre religioni ed altri credi
di cui sono portatori i nuovi cittadini
italiani.
Limitare
noi stessi, che da sempre abbiamo vissuto in un certo modo, per non offendere
gli altri è una forma di autocensura inaccettabile che non aiuta il dialogo, ma
rischia al contrario di aprire nuovi solchi.
Ma quello
che ci lascia ancor più perplessi è che su queste vicende c’è una sorta di
battaglia a senso unico contro la religione (non troviamo altro modo per
definirla) mentre il lassismo dei costumi (questo sì offensivo per altre fedi) viene
non solo tollerato ma incentivato.
Se chiunque
tra noi decide di andare a risiedere in un altro stato si adatta alle leggi e
alle norme che vigono in quella parte del mondo. Non si capisce perché da noi
debba avvenire il contrario.
Speriamo
che stavolta questa notizia, al di là delle giuste critiche, non sia colta al
volo da qualche amministratore nostrano che si è auto insignito del titolo di “difensore
della fede”.
Così come
non ci piace la sentenza del TAR non ci piacciono nemmeno le esternazioni
strumentali su Crocefissi, Presepi, Unioni Civili.
Come Il
sentimento religioso non può diventare bersaglio di un laicismo deteriore dall'altro lato non può diventare nemmeno uno strumento per farsi pubblicità.
Vorremmo ricordare, a chi scopre oggi la sua vocazione
da cavaliere templare, che «non chiunque dice:
“Signore, Signore”, entrerà nel Regno dei Cieli” e, aggiungiamo noi, nemmeno in
Consiglio Regionale o in Parlamento.
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