Da
qualche tempo alcuni amministratori locali si esercitano in analisi economiche
senza né capo né coda, pontificando sulla crisi di Banca Etruria (e speculando
sul comprensibile risentimento di chi ha perso i propri risparmi) oppure ragionando
di mercato del lavoro senza nemmeno uno straccio di numero su cui confrontarsi.
Dalle
nostre parti si chiacchera molto e si costruisce poco mentre, in altre aree del
paese, le cose vanno in maniera diversa.
Recentemente in Lombardia è stato presentato da Confindustria
il “Piano Strategico Lombardia 2030”.
Un modello che prevede intese e collaborazioni tra imprese e
vari settori multidisciplinari come istituzioni, banche e università, partendo dal
presupposto che la competitività non è disgiungibile dalla crescita dei
territori e delle comunità in cui queste operano.
Il Piano, pur con un orizzonte di lungo termine, si traduce in azioni
concrete anche nel breve periodo, analizziamole una per una:
- Cultura
d'impresa, cioè promuovere il sistema di valori, la tradizione e l'identità
imprenditoriale per diffondere la consapevolezza dell'impatto positivo delle
imprese sulla società. Cosa che da noi spesso è mancata paragonando in molti
casi le imprese ad animali predatori. Si è sempre e solo guardato ai possibili impatti
negativi rispetto a quelli positivi come occupazione, lavoro, benessere e
prosperità.
- Cluster: che
significa incrementare il numero d’imprese partecipanti a raggruppamenti per
sviluppare iniziative innovative.
- Capitale umano: che
vuol dire individuare i fabbisogni delle imprese e del mercato del lavoro, con
l’obiettivo di adeguare le competenze scolastiche dei giovani con quelle necessarie
alle imprese.
- Internazionalizzazione:
in particolare promuovendo le macroregioni per consolidare il rapporto con la
Comunità Internazionale e promuovere al meglio il sistema industriale e le sue
eccellenze per incrementare gli scambi con l'estero.
Secondo la
simulazione del Centro studi di Confindustria, l'attuazione di queste strategie
genererebbe, un aumento dell'occupazione, un ampliamento dell'export, un
incremento del valore aggiunto manifatturiero.
Insomma
viene fuori quello che ormai da qualche tempo molti sostengono e cioè che il
recupero di competitività dell'economia italiana passa attraverso l'industria
manifatturiera, con un impatto positivo anche su altri settori quali
l'artigianato, il commercio e i servizi.
Le condizioni ci sono tutte: talento, genio
creativo, capacita organizzative, storia, posizione geografica e condizioni
climatiche favorevoli, ci pongono in una condizione di vantaggio perché rendono
i nostri prodotti esclusivi, quindi, non replicabili in nessun altro luogo del
pianeta.
E’ evidente che in questo quadro di rilancio pesano
ancora troppo i fattori interni; come la burocrazia, la tassazione
insostenibile, le infrastrutture precarie, il difficile accesso al credito.
Tutti aspetti che solo il governo nazionale può affrontare.
Ma chiamare in causa il governo non può essere la
scusa per non fare niente. Infatti, se queste cose valgono per la Lombardia valgono
anche per la Toscana.
Ne
consegue che invece di stare a lamentarsi, come ormai ci hanno abituato i
nostri rappresentati istituzionali, occorra prendere il toro per le corna
affrontando in maniera seria il problema dello sviluppo dei territori.
In
Valdichiana questo fatto assume un valore ancor più marcato perché occorre tenere
insieme valori ambientali e imprese. Una sfida non facile ma che non si
affronta senza una strategia. Strategia che fino ad oggi è mancata.
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