Le
notizie sono del tipo che non vorremmo mai veder scritte nelle cronache: un
signore è stato preso a calci e pugni al parcheggio del Magnifico ad Arezzo per
aver rimproverato dei ragazzi che facevano esplodere petardi tra le macchine in
sosta. Oggi leggiamo che in Inghilterra, un onesto padre di famiglia, è stato massacrato
con mazze da baseball e bastoni da un gruppo di giovinastri perché aveva
chiesto loro di fare meno confusione sotto le sue finestre.
Per
gravità i fatti non sono ovviamente comparabili, ma entrambi rappresentano il segnale
del deterioramento dei rapporti tra persone che stava avanzando, come una marea
puzzolente, fin sulla soglia delle nostre case.
Non
stiamo esagerando. Basta farsi un giro
per le nostre strade, senza andare nei ghetti di periferia, per capire come
ormai i rapporti di forza si misurino sui decibel degli urli, sulla varietà degli
improperi e nel peggiore dei casi sulle botte distribuite senza misericordia.
Si
litiga per una precedenza, un posto macchina, per il cane che abbaia. E’ un mondo
dove la prepotenza sta prendendo gradualmente il sopravvento.
I
motivi sono svariati: il primo è che ormai nella testa di parecchi non c’è più differenza
tra virtuale e reale e i modelli che arrivano da Tv, internet, cinema,
videogiochi sono in buona parte basati sulla sopraffazione fisica e morale e
non bastano gli appelli al buon senso a modificare le cose.
Anche
la politica, che almeno in linea teorica dovrebbe dettare le regole di
comportamento, è diventata invece un riflesso della mentalità comune, perdendo insieme all'anima anche una funzione pedagogica.
I
vaffanculo si sprecano, le battute triviali sono assunte a teoremi, le offese più
velenose diventano materia di studio. E questo non avviene solo in parlamento, dove
l’eccellenza di pensiero è ormai merce rara.
Anche
nelle nostre piccole realtà, dove tutti si conoscono e quindi un livello di
moderazione sarebbe opportuno, non si va tanto per il sottile: insultare è
diventata una quota fissa nel dibattito pubblico.
Difficile
dire come uscire da questa spirale perché, come dice un personaggio di Sin City,
“qui sangue chiama sangue e a galloni”.
L’unico
modo serio sarebbe quello di ripristinare il principio di legalità. Un esempio:
pare che gli aggressori del Magnifico siano stati individuati, a questo punto per
dare almeno una parvenza di rigore dovrebbero essere puniti in maniera
esemplare.
Invece
tra qualche giorno, sempre che li mettano in gattabuia, ipotesi remota, li
rivedremo ancora in giro felici e beati, legittimati a rompere di nuovo il
grugno a qualche malcapitato. Ecco perché alla fine ci sono poche speranze.
Barack
Obama sta facendo una sacrosanta crociata contro la diffusione indiscriminata
di armi, ponendo l’accento sul fatto che il proliferare di pistole, fucili d’assalto,
mitragliette negli Stati Uniti costa un numero impressionate di vite umane.
Vista
la situazione di permanente insicurezza a qualcuno potrebbe venire la
tentazione di calcolare quante vite umane sono state risparmiate grazie al potere
dissuasivo di un revolver. Per questo
occorre porre rimedio prima che la valanga divenga inarrestabile.
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