martedì 22 dicembre 2015

POPULISMI 2.0

Tutti parlano delle elezioni spagnole come se la penisola Iberica fosse lo specchio del nostro paese, qualche giorno fa si parlava della Francia e prima ancora della Polonia. E’ un viziaccio tutto italiano quello di guardare in casa degli altri senza osservare quello che succede in casa propria.

Fare paragoni risulta azzardato, ogni paese ha la sua storia e la paella non è un semplice risotto, nonostante gli ingredienti si assomiglino.
Tuttavia un punto in comune esiste, un po’ ovunque vincono i populismi 2.0.

Detto in altre parole ottiene dei risultati chi si rivolta contro le élites, l’establishment, i vecchi partiti, le forme tradizionali di rappresentanza. E i vecchi si difendono come possono: in Francia con una riedizione del fronte del maquis (tutti uniti contro il nemico comune) e in Spagna pensando a una Große Koalition che metta insieme Popolari e Socialisti. In Italia non siamo poi tanto lontani, il PD (partito di centrosinistra) governa con un partito che si chiama Ncd (nuove Centro Destra), più chiaro di così si muore.
Una cosa per onestà va detta, i populismi 2.0 non sono uguali tra loro, però hanno tutti una stessa matrice: l’incazzatura per la crisi economica, l’assenza di prospettive, l’insicurezza.
Anche le ricette spesso divergono: Podemos non è assimilabile ai 5 stelle, Ciudadanos non somiglia alla Lega. Più facile il giudizio per paesi come l’Ungheria o la Polonia dove si assiste a una riedizione (aggiornata ma non meno inquietante) del programma di governo di Ferenc Szálasi e di quello del maresciallo Piłsudski .
Detto questo si ritorna al punto di partenza, a cosa serve analizzare quei risultati?
Serve perché si utilizzano in chiave interna, con Renzi che ne approfitta per enfatizzare la nuova legge elettorale, Bersani per dire il contrario e il centrodestra che naviga a vista come una nave senza nocchiero: alcuni sono felici, altri atterriti.
In questo bailamme la cosa più sensata (fatto abbastanza raro) l’ha detta Pippo Civati quando ha nel suo blog ha mostrato quello che sarebbe accaduto in Spagna con la nostra legge elettorale.
“Se l'Italicum fosse anche Ispanicum, oggi andrebbero al ballottaggio un partito con il 28,7% e uno con il 22,01% e quello dei due che prendesse un voto in più dell'altro (a prescindere dai votanti) otterrebbe ben 340 seggi alla Camera, pari a circa il 55% dei voti. Con un numero di seggi pari a due volte - o anche più - rispetto ai consensi. Il governo sarebbe salvo, la volontà popolare molto meno”.  
Scenario delicato sul piano della democrazia classica.
Si tratta di capire se è meglio privilegiare la governabilità (che piace tanto ai mercati internazionali ed al capitalismo fluido che oggi domina il mondo) oppure le scelte del popolo (di solito piuttosto variegate). 
E’ possibile una terza strada? Forse. Una cosa ci preoccupa, con un sistema come il nostro i populisti 2.0 rischiano di arrivare al governo in carrozza. Non a caso i 5 stelle oggi difendono l’Italicum. E questo ci preoccupa non poco. Ci preoccupa soprattutto perché la politica appare incapace di affrontare temi come l’impoverimento (nonostante i numeri sbandierati su una presunta crescita economica), l’assenza di futuro per tanti giovani, l’incapacità a gestire le emergenze (a cominciare dall'immigrazione e la sicurezza).


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