Tutti parlano delle elezioni spagnole come se la
penisola Iberica fosse lo specchio del nostro paese, qualche giorno fa si
parlava della Francia e prima ancora della Polonia. E’ un viziaccio tutto italiano
quello di guardare in casa degli altri senza osservare quello che succede in
casa propria.
Fare paragoni risulta azzardato, ogni paese ha la
sua storia e la paella non è un semplice risotto, nonostante gli ingredienti si
assomiglino.
Tuttavia un punto in comune esiste, un po’ ovunque vincono
i populismi 2.0.
Detto in altre parole ottiene dei risultati chi si rivolta contro le élites,
l’establishment, i vecchi partiti, le forme tradizionali di rappresentanza. E i
vecchi si difendono come possono: in Francia con una riedizione del fronte del maquis (tutti
uniti contro il nemico comune) e in Spagna pensando a una Große Koalition che metta insieme Popolari e Socialisti.
In Italia non siamo poi tanto lontani, il PD (partito di centrosinistra)
governa con un partito che si chiama Ncd (nuove Centro Destra), più chiaro di
così si muore.
Una
cosa per onestà va detta, i populismi 2.0 non sono uguali tra loro, però hanno
tutti una stessa matrice: l’incazzatura per la crisi economica, l’assenza di prospettive,
l’insicurezza.
Anche
le ricette spesso divergono: Podemos non è assimilabile ai 5 stelle, Ciudadanos non somiglia alla Lega. Più
facile il giudizio per paesi come l’Ungheria o la Polonia dove si assiste a una
riedizione (aggiornata ma non meno inquietante) del programma di governo di Ferenc
Szálasi e di quello del maresciallo Piłsudski
.
Detto
questo si ritorna al punto di partenza, a cosa serve analizzare quei risultati?
Serve
perché si utilizzano in chiave interna, con Renzi che ne approfitta per
enfatizzare la nuova legge elettorale, Bersani per dire il contrario e il
centrodestra che naviga a vista come una nave senza nocchiero: alcuni sono
felici, altri atterriti.
In
questo bailamme la cosa più sensata (fatto abbastanza raro) l’ha detta Pippo
Civati quando ha nel suo blog ha mostrato quello che sarebbe accaduto in Spagna
con la nostra legge elettorale.
“Se
l'Italicum fosse anche Ispanicum, oggi andrebbero al ballottaggio un partito
con il 28,7% e uno con il 22,01% e quello dei due che prendesse un voto in più
dell'altro (a prescindere dai votanti) otterrebbe ben 340 seggi alla Camera,
pari a circa il 55% dei voti. Con un numero di seggi pari a due volte - o anche
più - rispetto ai consensi. Il governo sarebbe salvo, la volontà popolare molto
meno”.
Scenario
delicato sul piano della democrazia classica.
Si
tratta di capire se è meglio privilegiare la governabilità (che piace tanto ai
mercati internazionali ed al capitalismo fluido che oggi domina il mondo)
oppure le scelte del popolo (di solito piuttosto variegate).
E’
possibile una terza strada? Forse. Una cosa ci preoccupa, con un sistema come
il nostro i populisti 2.0 rischiano di arrivare al governo in carrozza. Non a caso
i 5 stelle oggi difendono l’Italicum. E questo ci preoccupa non poco. Ci
preoccupa soprattutto perché la politica appare incapace di affrontare temi
come l’impoverimento (nonostante i numeri sbandierati su una presunta crescita
economica), l’assenza di futuro per tanti giovani, l’incapacità a gestire le
emergenze (a cominciare dall'immigrazione e la sicurezza).
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