La
Terra di mezzo è una regione
dell'universo fantasy creato dallo scrittore inglese Tolkien,
da qualche tempo questo termine viene associato all'idea della macroregione che dovrebbe ricomprendere Toscana, Marche e Umbria.
Se
qualcuno pensasse che anche in questo caso siamo dentro la trama di un romanzo fantastico
sbaglierebbe di grosso. Il progetto marcia al ritmo di una gavotta: compassato
e pensoso, ma va avanti.
Non
potrebbe essere diversamente, da qualche tempo, infatti, si è riaperto il
dibattito sulla riaggregazione delle regioni, gli obiettivi sono semplici:
riduzione delle spese e maggior potere contrattuale nei confronti dell’Unione
Europea.
All'estero si sono già mossi, in Francia da 22 le regioni sono scese a 13 e in Germania ,
paese ben più grande del nostro, i Laender sono 16 e in Spagna, nazione altrettanto estesa, le comunità autonome sono 17.
L’argomento
è dunque di stretta attualità e meriterebbe un approfondimento, non solo
teorico. Capire cioè quali sarebbero i riflessi sui territori, le implicazioni
per la popolazione, i cambiamenti che trascinerebbe con se. Tutto questo per
evitare errori grossolani come quelli accaduti quando improvvidamente si è
stabilito di abolire le provincie, giusto per dare in pasto all'opinione pubblica un risultato.
In
quel caso si è fatta un’enorme stupidaggine, anche perché, qualora si dovesse puntare
verso le macroregioni, il ruolo degli enti intermedi tornerebbe fondamentale e
senza le provincie a chi tocca questo compito? Non si sa. Ecco cosa succede
quando si pretende di costruire la casa a partire dal tetto.
Tornando alla “terra di mezzo”
è fuor di dubbio che le tra Toscana, Marche e Umbria ci siano molte affinità e
molti problemi in comune: la rete dei distretti industriali, il sistema delle
infrastrutture con il completamento della Fano-Grosseto e la valorizzazione dei
porti Ancona e Livorno inseriti nell'asse strategica europea che da Kiev arriva
fino a Barcellona, le reti immateriali a cominciare dalla banda larga.
Insomma
di pane da mordere ce ne sarebbe parecchio specialmente se riuscissimo ad
amalgamare tutto questo con il patrimonio, storico, artistico e naturalistico
di cui queste regioni sono ricchissime, tanto da rappresentare un’eccellenza
nazionale.
Allora
comincerebbe ad avere un senso riprendere il filo di una green economy legata
alla valorizzazione di un’agricoltura sostenibile, a un diverso modo di fare
industria e soprattutto a trasformare la cultura in una risorsa economica. Il
distretto culturale messo in piedi dalle Marche è, in tal senso, un’ottima base
di partenza.
Il
nostro auspicio è che non ci si fermi alle buone intenzioni. La partita non
sarà facile e spetta all'intero sistema regionale (enti locali, politica,
associazioni di categoria) lavorare per portare a casa tutta la posta. E’
questa una delle condizioni per non perdere il treno della ripresa.
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