I
titoli stamani la sparano grossa: aumento del reddito e più spese per i regali
di Natale (+5% secondo le previsioni ConfComnercio).
Ci
guardiamo intorno e queste luminarie non riusciamo a vederle. Apriamo il
giornale ed ecco svelato il mistero, il reddito aumenta, ma non per tutti, crescono
invece le disuguaglianze nella distribuzione, c’è chi incassa di più e chi
rimane al palo o peggio guadagna di meno. In compenso cresce la propensione a spendere,
almeno per chi può.
Diffondere
ottimismo è un bene, abbiamo sempre diffidato della politica piagnona capace
solo di guardare il negativo delle cose, l’economia non è fatta solo di numeri ma
anche di stati d’animo, di sensazioni. E ci fa piacere che la gente ricominci a
guardare con fiducia al futuro.
Questo però non significa che dobbiamo drogarci
di entusiasmo, l’aumento della disuguaglianza non ci rende felici. Non è una
buona notizia per chi, come noi, ritiene che un’equilibrata redistribuzione delle
risorse possa essere uno dei propulsori della crescita. Anche se, per andare
avanti, ci vuole ben altro che una politica in grado di attenuare la
diseguaglianza.
Più
passa il tempo più ci convinciamo che il motore della ripresa non possa essere
solo lo Stato ma sia invece necessario sviluppare un sano spirito di impresa
che favorisca investimenti e dia gambe per camminare alle idee.
Per
tale motivo ci cascano le braccia difronte alle notizie che arrivano dalla
Lombardia dove la Regione e non solo lei (di mezzo ci sono comuni governati dal
centro sinistra, prese di posizione della Lega, mozioni dei 5 stelle, Comitati)
si accinge a dire NO a un grande
progetto commerciale di Ikea. L’insediamento del solo magazzino Ikea avrebbe
comportato un investimento di 80 milioni e 300 posti di lavoro. La motivazione
del blocco è duplice: si sostiene di voler tutelare i piccoli commercianti
della zona ed evitare che le modifiche alla viabilità stravolgano il
territorio.
E’
un pessimo esempio di non-governo, perché nessuno avrebbe vietato di esigere
volumi compatibili con il paesaggio urbano, spazi adeguati per i commercianti
locali e la valorizzazione del tessuto artigianale come fornitore. Si è invece preferito
adagiarsi sul populismo.
Perché
citiamo questo esempio? Perché è inutile
cianciare di aumenti del reddito, incremento dei consumi, sviluppo dell’economia
e dei posti di lavoro quando ogni volta si stoppano le possibilità di crescita d’iniziative
commerciali e industriali.
Alla
base c’è un deficit di cultura economica di molti amministratori locali che preferiscono il
megafono dell’arruffapopolo rispetto alla politica dei fatti.
Sarà
un caso, ma in qualche nostro comune si fanno piani urbanistici dove si limita
l’ampliamento delle aziende, si sposano tesi di sviluppo eco-compatibile che
comportano la rinuncia all'insediamento di imprese (senza chiedere in cambio
nemmeno un posto di lavoro), si accusa l’attività edile di tutti i mali guardando
solo all'aspetto quantitativo e non a quello qualitativo, non si incentivano
per niente le iniziative giovanili, non si costruisce nessun rapporto tra
scuola e mondo del lavoro, si assiste senza batter ciglio alla chiusura di
aziende storiche.
In
queste condizioni pensare che le cose possano andare meglio diventa un fatto di
fede.
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