giovedì 3 dicembre 2015

I NO CHE SEGANO LE GAMBE ALLO SVILUPPO

I titoli stamani la sparano grossa: aumento del reddito e più spese per i regali di Natale (+5% secondo le previsioni ConfComnercio).
Ci guardiamo intorno e queste luminarie non riusciamo a vederle. Apriamo il giornale ed ecco svelato il mistero, il reddito aumenta, ma non per tutti, crescono invece le disuguaglianze nella distribuzione, c’è chi incassa di più e chi rimane al palo o peggio guadagna di meno.  In compenso cresce la propensione a spendere, almeno per chi può.

Diffondere ottimismo è un bene, abbiamo sempre diffidato della politica piagnona capace solo di guardare il negativo delle cose, l’economia non è fatta solo di numeri ma anche di stati d’animo, di sensazioni. E ci fa piacere che la gente ricominci a guardare con fiducia al futuro. 

Questo però non significa che dobbiamo drogarci di entusiasmo, l’aumento della disuguaglianza non ci rende felici. Non è una buona notizia per chi, come noi, ritiene che un’equilibrata redistribuzione delle risorse possa essere uno dei propulsori della crescita. Anche se, per andare avanti, ci vuole ben altro che una politica in grado di attenuare la diseguaglianza.
Più passa il tempo più ci convinciamo che il motore della ripresa non possa essere solo lo Stato ma sia invece necessario sviluppare un sano spirito di impresa che favorisca investimenti e dia gambe per camminare alle idee. 
Per tale motivo ci cascano le braccia difronte alle notizie che arrivano dalla Lombardia dove la Regione e non solo lei (di mezzo ci sono comuni governati dal centro sinistra, prese di posizione della Lega, mozioni dei 5 stelle, Comitati)  si accinge a dire NO a un grande progetto commerciale di Ikea. L’insediamento del solo magazzino Ikea avrebbe comportato un investimento di 80 milioni e 300 posti di lavoro. La motivazione del blocco è duplice: si sostiene di voler tutelare i piccoli commercianti della zona ed evitare che le modifiche alla viabilità stravolgano il territorio.
E’ un pessimo esempio di non-governo, perché nessuno avrebbe vietato di esigere volumi compatibili con il paesaggio urbano, spazi adeguati per i commercianti locali e la valorizzazione del tessuto artigianale come fornitore. Si è invece preferito adagiarsi sul populismo.
Perché citiamo questo esempio?  Perché è inutile cianciare di aumenti del reddito, incremento dei consumi, sviluppo dell’economia e dei posti di lavoro quando ogni volta si stoppano le possibilità di crescita d’iniziative commerciali e industriali.   
Alla base c’è un deficit di cultura economica di molti amministratori locali che preferiscono il megafono dell’arruffapopolo rispetto alla politica dei fatti.
Sarà un caso, ma in qualche nostro comune si fanno piani urbanistici dove si limita l’ampliamento delle aziende, si sposano tesi di sviluppo eco-compatibile che comportano la rinuncia all'insediamento di imprese (senza chiedere in cambio nemmeno un posto di lavoro), si accusa l’attività edile di tutti i mali guardando solo all'aspetto quantitativo e non a quello qualitativo, non si incentivano per niente le iniziative giovanili, non si costruisce nessun rapporto tra scuola e mondo del lavoro, si assiste senza batter ciglio alla chiusura di aziende storiche. 
In queste condizioni pensare che le cose possano andare meglio diventa un fatto di fede.


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