È morto ieri pomeriggio a Roma Armando Cossutta, ex
partigiano, storico dirigente del Pci.
Da
Cossutta ci dividevano molte cose, quasi tutto, ma ci affascinava la sua fedeltà
alle idee della sua gioventù, anzi più che a un’idea a una visione del mondo.
Un
mondo in bianco e nero, dove le sfumature assumevano i contorni dell’opacità e
per questo risultavano ambigue.
Il
concetto di fedeltà oggi appare vecchio, in effetti, in un pianeta che ruota alla
velocità della luce e cambia a ogni sorgere del sole l’essere fedeli appare più
un intralcio, un ostacolo, che non una virtù. Questo vale in politica, negli
affari, perfino nei rapporti interpersonali. Alla lunga, senza correttivi, tutto
questo rischia di produrre un disastro, un deserto morale oltre che economico.
Paradossalmente
talvolta sarebbe meglio inseguire una “causa persa” piuttosto che starsene
tutto il giorno in panciolle ad aspettare che altri decidano per noi.
C’è
un autore sloveno, Slavoj Žižek, che in un libro intitolato guarda caso “In
difesa delle cause perse” afferma una cosa, molto scomoda: dobbiamo
riprendere il filo di alcune "cause perse" perché i fallimenti della
storia, dai terrori di Robespierre ai bolscevichi, non raccontano l’intera
storia. In ciascuno esiste un'aspirazione di "redenzione", che va del
tutto persa nelle società attuali, con il loro rifiuto dell'autoritarismo e la
loro (ipocrita) esaltazione di una politica soft e consensuale.
Cossutta faceva parte a pieno titolo di questo
accavallarsi di cause perse.
Il suo filosovietismo, riaffermato in un’epoca in
cui l’URSS mostrava ormai chiari segni di cedimento, è un chiaro esempio d’innamoramento
per un mondo sconfitto.
Ci ricorda la vecchia guardia napoleonica, i
samurai e, sappiamo di dire una cosa innominabile per qualcuno, i ragazzi del “Barbarigo”
che contrastavano gli Americani nelle campagne di Anzio.
Ideali sbagliati? Alcuni lo furono, ma almeno avevano
qualcosa in cui credere. Oggi in cosa crediamo?
Nessun commento:
Posta un commento