giovedì 5 novembre 2015

TRA RENZI E GHINELLI

Le ultime dichiarazioni del sindaco di Arezzo sull'apporto dato alla sua campagna elettorale da esponenti dell’IDV, apporto non smentito e quindi plausibile, sono la conferma di quanto lo scenario politico, non solo a livello nazionale ma anche locale, sia sempre più indecifrabile. Qualcuno potrà gridare al tradimento, noi non ci uniremo a questo coro.

La verità, che ci si ostina a non vedere, è che le appartenenze di partito contano sempre meno ed entrano in campo altri fattori: la credibilità dei candidati in primo luogo, un po’ meno il progetto amministrativo, molto di più gli intrecci di natura economica e professionale.

Qualcuno potrebbe definirlo lobby ebbene si, si tratta di lobby senza per forza dare a questa parola una accezione negativa. 
In questo senso Renzi sembra averlo capito quando, per esempio, prefigura una convergenza non tra partiti, la parola stessa è indice di appartenenza, ma tra interessi.
Interessi che s’incardinano nel concetto di cambiamento e quindi portano dritti alla rottura dei vecchi schemi. 
Per rendersene conto basta vedere quello che accade con la gestione di ruoli di governo (grandi eventi, Comuni, in taluni casi anche Regioni), gestione che viene sempre più affidata a persone esterne alla politica.
In questo senso la politica, quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi rischia di evaporare. E’ un bene? In parte si e in parte no.
Se si dissolve un certo tipo di politica, per cui l’appartenenza va avanti al merito, è un bene. Se invece scompare la politica come visione ampia tutto rischia di ridursi a piccolo cabotaggio, per cui, una volta che vengono meno le figure di riferimento, per esempio Renzi a livello nazionale o Ghinelli a livello locale si rischia il caos.
In questo senso nemmeno il PD, partito di maggioranza relativa, sembra attrezzato ad affrontare questa nuova fase.
Non parliamo di quello nazionale, che somiglia sempre di più alla Russia all'indomani della fine del comunismo: un nucleo centrale forte e piccoli spezzoni che si rincorrono tra chi si stacca e fa ditta per conto suo, tipo paesi Baltici e chi, nel bene o nel male, accetta la subalternità, tipo Bielorussia.
Ma anche a livello locale il quadro non appare per niente tranquillo. Il vuoto lasciato dalla vecchia classe politica è stato riempito solo formalmente da una nuova leva. I nomi per riempire i buchi si trovano sempre, il problema è per fare cosa. Il compito è improbo, guidare una macchina che perde i pezzi è affare da piloti parecchio bravi ed in giro non se ne vedono. Questo fatto fa nascere una semplice domanda, è giusto rincollare i pezzi oppure è meglio cambiare la macchina?
Il problema è che oggi non ci sono i soldi (leggi idee, capacità e forse anche voglia) per cambiare il mezzo e allora si tiene stretto quel che si ha. Ma con un ferrovecchio non si vincono le gare. 
Nessuno ha fatto un serio esame, una volta si sarebbe detta analisi, su quello che è accaduto ad Arezzo ed in altri comuni importanti della provincia. Ci si accontenta di occupare gli spazi, senza accorgersi che gli spazi si restringono ogni giorno di più.
La soluzione è di recuperare un progetto politico ma per farlo occorre studiare, come diceva uno dei padri nobili della sinistra “anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso”. Quanti oggi ne hanno voglia? 
Meglio smanettare su facebook e lasciare ad altri le decisioni importanti. 


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