Da
qualche giorno è uscito in libreria “La
Repubblica degli Innovatori – 85 storie di startup, 16 settori in cui fare
impresa, 105 consigli da mettere in pratica” di Alessandro Rimassa (Vallardi
ed.), in cui vengono descritte 85 esperienze di giovani che hanno deciso di dare
vita ad una azienda.
Lettura
interessante.
Il
punto di partenza è che il rilancio dell’economia parta dalle Imprese. Detto così
sembra un’ovvietà ma non è un fatto scontato in un paese in cui parole come iniziativa,
profitto, concorrenza sono viste da alcuni come fumo negli occhi.
Niente
di più sbagliato. In un mondo in cui il mito del posto fisso è al tramonto e
l’innovazione sembra il motore di ogni cosa, l’impresa con la sua dinamicità
può diventare davvero il fulcro per ricostruire il futuro.
Non
a caso negli anni d’oro dell’economia italiana furono le imprese il motore
della crescita: i prodotti della Piaggio, della Montecatini, della Olivetti
rappresentano l’esempio di idee innovative messe al servizio di una intera nazione.
Le
idee oggi non mancano ma hanno bisogno di un terreno fertile per
svilupparsi. Tanti ragazzi e ragazze
potrebbero riprendere in mano il loro destino se solo fossero messi in
condizione di farlo. In che modo?
Cinque
i punti approfonditi in questo libro:
Il
primo si chiama CONDIVIDERE perché, come ricorda l’autore, “ uno più uno è
maggiore di due, quando si parla di cervelli”.
Il
secondo SPERIMENTARE che significa innovare e anche rischiare, coscienti del fatto che “il fallimento è un’opzione da
contemplare, di cui non vergognarsi”.
Il
terzo è DIGITALIZZARE come unica possibilità per combattere la sfida globale.
Il
quarto è RISPETTARE, rispetto per l’ambiente, per le persone, per i tempi, per
le diversità. “A ognuno il suo modo di essere e di fare, in un’impresa che
torna a essere motore di cambiamento sociale come fu con Adriano Olivetti”.
Il
quinto è LIBERARE, la sfida più dura.“Governo, pubblica amministrazione, enti
locali: smettete di fare leggi, cancellate quelle inutili. Rivedete il fisco
che così com’è soffoca le imprese. l’Ires deve andare a zero per tre anni per
tutte le nuove imprese e poi fermarsi al 12-13%, l’Irap deve essere cancellata,
il cuneo fiscale ridotto in maniera permanente a vantaggio di datore di lavoro
e lavoratore”.
Cinque
principi condivisibili.
Ne
manca però uno: IL RUOLO DEL CREDITO che, in una fase in cui si rendeva
necessaria una maggiore flessibilità, si è irrigidito al punto tale da lasciare
senza speranze decine d’imprese. Ci sono
casi paradossali in cui un’azienda ha un mercato ma manca dei capitali per
sviluppare i prodotti. Da noi senza garanzie non si va da nessuna parte, le
buone idee valgono zero. Per cui ancora una volta prevalgono sempre i soliti:
quelli ammanicati oppure coloro che già nascono “ricchi” di famiglia. E’ lo
specchio di una società per nulla dinamica e destinata alla lunga al
fallimento.
Per
chi non si vuole arrendere la strada è una sola: pretendere che si facciano le
cose.
Per
esempio in settori come l’agricoltura, il turismo, la digitalizzazione, i
servizi alla persona è proprio una bestemmia pensare che anche gli Enti Locali
possano fare la loro parte sviluppando spazi di co-working in grado di
funzionare da incubatori per giovani imprese?
Oppure
lavorare in sinergia col sistema bancario locale per offrire soluzioni di credito
innovative?
Tutte
cose fattibili. Invece si preferisce ancora una volta puntare sul vecchiume:
tirocini formativi che non servano a niente e corsi professionali ormai datati,
in questo modo non si va da nessuna parte.
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