L’Abolizione delle provincie è stata sbandierata come la prima,
importantissima riforma dell’architettura istituzionale del nostro paese. Peccato
che ci si sia fermati lì. Niente riforma degli Enti, dei Ministeri, delle
regioni. Le provincie sono state l’agnello sacrificale da dare in pasto a un’opinione
pubblica esasperata, dopo s’è tirato il freno a mano.
Economie? Prendiamo quello che qualche tempo fa un autorevole
quotidiano scriveva “con l’abolizione delle provincie avremo un risparmio di 13
miliardi di euro”. Ma dove?
In quel conto ci stava il costo del personale, le spese per le funzioni
delegate (edilizia scolastica, strade, assetto del territorio, mercato del
lavoro ecc.) e le spese per gli organi elettivi (indennità presidente,
consiglieri, assessori).
Tenuto conto che i dipendenti non possono essere aboliti per decreto,
che le funzioni delegate qualcun altro dovrà pur svolgerle: che si chiami
regione, comune o agenzie cambia poco, è facile capire che l’unico risparmio è
stato sugli organi elettivi. La montagna ha partorito il topolino. In compenso tantissime
funzioni si sono allontanate dai cittadini, abbiamo un presidente (perchè il presidente
della provincia c’è ancora) che non è eletto ai cittadini e rappresentanze istituzionali
che non si sa bene a quale criteri rispondano (politici? Territoriali?
Personali?).
A questo punto forse occorrerebbe rifare i conti e cominciare a dire
che qualcuno ha sbagliato. A cominciare da quei valenti giornalisti che sulla
lotta agli sprechi, alle disfunzioni e alla burocrazia hanno costruito le loro
fortune. Scrivendo grandi baggianate che però hanno il pregio di piacere all’opinione
pubblica.
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