Ecco
che arrivano i mediconi, tutti in fila a spiegarci perché la sinistra ha fatto
un tonfo storico in quelle che una volta erano roccaforti inespugnabili.
E’
tutta gente dalla memoria corta. Già dopo le elezioni regionali della Liguria,
madre di molte sconfitte, qualcuno avrebbe dovuto capire che forse era il caso
di rimettere in discussione una politica che divideva a sinistra e ci faceva
perdere i collegamenti col nostro mondo.
Si
è preferito far finta di niente e così sono arrivate disfatte a catena:
elezioni amministrative, referendum, politiche. Débâcle brucianti che però non hanno
scalfito la pelle di certi rinoceronti.
In
Toscana un disastro dopo l’altro: Arezzo, Grosseto, Pistoia, Livorno. Un
massacro politico ridotto a fatto locale per evitare di assumersi qualunque responsabilità.
Oggi Siena, Pisa, Massa, anche questi solo fatti locali?
Anche
da noi, dopo la sconfitta al comune capoluogo e in molti centri della provincia
si è liquidato tutto con un’alzata di spalle, senza rendersi conto che era invece
necessaria un’analisi seria per capire come la crisi avesse cambiato la struttura
economica e sociale dei territori. Un approfondimento necessario per capire le
difficoltà delle famiglie, del perchè i giovani ci voltassero le spalle, i
motivi per cui il nostro popolo non riconoscesse più la bontà del governo
locale. Non abbiamo capito che la crisi si portava dietro molte cose: l’incertezza
del futuro, le paure, il disagio sociale che, con l’arrivo nei nostri paesi
degli immigrati, tanti o pochi non importa, è diventato una miscela esplosiva.
Ci
s’illudeva di arginare la piena e invece la piena ci ha travolto e in parecchi
oggi allargano le braccia come a dire, non si può fare niente.
Io
non ci sto ad arrendermi, non ci sto a rinchiudermi nella autocommiserazione, non ci sto a litigare sulle virgole mentre la
nave affonda.
C’è
di sicuro un problema di classe dirigente, ma c’è soprattutto il tema della
sinistra che deve tornare a fare la sinistra. La gente non chiede cose eccezionali,
vuole una sanità che funzioni, che il figlio trovi un lavoro, che ci siano tutele
sociali e pensioni dignitose, reclama sicurezza. Tutte cose normali alle quali fatichiamo
a rispondere.
Quello
che fa più male in queste elezioni è che a differenza delle politiche si è rotto
il rapporto tra amministratori Pd e cittadini. E questo è avvenuto perché, anche
a livello locale, non abbiamo più progetti, idee, capacità di prefigurare il
futuro. “Ognun per se e Dio per tutti” è
il motto che anche noi abbiamo avallato.
Se
non vogliamo che le elezioni amministrative del 2019 segnino, in questa
provincia, il punto di non ritorno per il PD dobbiamo produrre subito un cambio
di marcia: unità nella direzione politica, idee chiare e forti e meno stupidaggini
su facebook, fuori gli opportunisti, utilizzare il patrimonio umano. Nel PD aretino ci s’incarta spesso in discussioni
sterili; ma a chi volte che interessino le nostre dispute? Di sicuro non ai lavoratori e alle lavoratrici
che perdono il posto di lavoro, non ai giovani che aspettano una risposta, non
alla gente comune che tutti i giorni fa i conti con la spesa e le bollette.
Aria
nuova non vuole dire solo volti nuovi, vuol dire aprire le finestre, coinvolgere
gli iscritti, parlare al cuore della gente, vuol dire umiltà e riconoscere che
qualche volta, anzi spesso, abbiamo sbagliato.
Questo
è lo scatto di orgoglio che si chiede al PD. Solo così si esce dalla palude, in
caso contrario siamo destinati ad affondare.
Paolo Brandi
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