Modernizzare è una parola che si
presta a molte interpretazioni per questo non è sufficiente per vestire di
panni nuovi un programma di governo. Nella
storia ci sono stati innovatoti,
modernizzatori, rivoluzionari che hanno provocato grandi danni per cui la cautela
in questi casi è d’obbligo.
Ma soprattutto
quando si parla di modernizzare occorre avere lucidità sugli obbiettivi che si
vogliono raggiungere.
Per esempio un partito che si
definisce riformatore e progressista deve metter al centro della sua azione uno
sviluppo regolato, rispettoso dell’ambiente e della dignità del lavoro. Non è chiedere
troppo è chiedere il minimo.
Una società
che funziona è infatti una società equilibrata, dove l’economia non è
subordinata agli interessi di pochi ma cerca di realizzare il bene comune. Oggi però ci troviamo a fare i conti con
problemi complessi che vanno dall'immigrazione, ai diritti individuali,
passando per la strada stretta di accordi internazionali che talvolta collidono
con i sentimenti diffusi tra la nostra gente.
Su questi punti una forza progressista
dovrebbe domandarsi come recuperate il contatto con i cittadini, per non
lasciarli in balia dei venti del populismo e della xenofobia. In questo caso non contano le prediche,
contano i fatti.
Basterebbero poche cose per cominciare a far
capire che si intende invertire la rotta:
Una proposta di legge per diminuire le
indennità dei parlamentari (si realizzerebbe un risparmio ben maggiore che non
la scomparsa del Senato) sulla quale chiedere il voto di fiducia. Almeno si capirebbe
chi sono coloro che votano contro.
Una proposta di abolizione dei vouchers
contenuti nel Job Act che rappresentano ormai una vera vergogna per uno stato
di diritto fondato come dice la costituzione “sul lavoro”.
Due semplici atti che darebbero un
segnale di cambiamento netto e inequivocabile.
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