Seguire
la “Leopolda” sui giornali e alle TV è sempre uno spettacolo: scrutare i volti,
ascoltare gli interventi, studiare il parterre degli invitati è come scorrere i
capitoli di un romanzo. Perché proprio di un romanzo si tratta, di una
narrazione intensa che, partita sei anni orsono, è arrivata come un’onda di
marea fino ai nostri giorni.
Il
primo capitolo è quello del sogno di una generazione che vuole diventare
protagonista di un pezzo della storia italiana. E lo fa con intelligenza,
contrapponendo il vecchio al nuovo, i giovani agli anziani, la primavera
renziana al plumbeo grigiore della vetusta classe politica.
Una
formula che funziona perché coglie il sentimento di milioni di persone, tant'è che in meno di sei anni quella generazione diventa classe di governo.
Sei
anni in politica sono un tempo lunghissimo, oppure brevissimo e Renzi ha il
merito di aver dato una accelerazione mostruosa alla politica italiana e quando
si accelera in maniera repentina (e la macchina non è pronta) è normale che si
perdano dei pezzi per strada. Ma l’importante
è arrivare al traguardo. E Renzi e i suoi ci sono arrivati.
Qui
iniziano gli altri capitoli del “romanzo della Leopolda” che ricordano, in
alcune parti e fatti i dovuti distinguo, lo “Spaccio della Bestia Trionfante”
di Giordano Bruno dove, per “spacciare” si intende il “cacciar
via dal cielo vecchi vizi per sostituirli con nuove virtù”. Questa era la lieta
novella che veniva annunciata nelle piazze mediatiche.
Purtroppo
all'occhio dell’osservatore esterno non sembra che in questi anni i difetti delle
mummie incartapecorite siano stati sostituiti da nuove qualità. Nonostante
alcune riforme (di indubbia portata ma sui cui effetti c’è ancora da discutere)
i Leopoldini appaiono anch'essi afflitti da tare annose che si chiamano
arroccamento, arroganza, machiavellismo deteriore. Non basta il giovanilismo a trasformare
in oro lo sterco di pecora, e tanti bravi ragazzi che si sono ritrovati
proiettati in parlamento, nei ministeri, nei luoghi del potere non possiedono,
tranne qualche raro caso, lo spessore, la cultura, l’umiltà, che sono necessari
a uomini e donne di governo.
Intorno
a Renzi sono cresciute come funghi la furberia, la piaggeria l’adulazione ma
non è ancora cresciuta una classe di governo. Basta osservare le pessime figure
che quasi tutti i suoi epigoni fanno nei dibattiti TV. Si salvano dal giudizio
della pubblica opinione solo perchè ormai il grande reality della politica è
giudicato dalla gente alla stregua del grande fratello. Un contenitore dove si
può raccontare tutto e il contrario di tutto e la memoria collettiva è
diventata così corta che ogni cosa si annebbia nell'orgia di notizie, e annunzi,
che ci rovesciano in testa TV e social.
Per
continuare a piacere continuano a evocare la parola “cambiamento”. Il
cambiamento è una parola “magica”, specie di questi tempi. I tempi che viviamo sono,
infatti, tempi di cambiamento, corrono veloci, hanno il fuco nelle vene ma alla
fine cambiare per fare cosa? Quali sono i valori che stanno al fondo di questo
progetto? Le linee guida, il senso della direzione di questa lunga marcia?
Questo
ancora non è dato sapere. Alla saga, alla narrazione manca il finale.
Sarebbe
come se il Signore degli Anelli si limitasse a una banalissima battaglia del
bene contro il male e non ci fosse invece in ogni personaggio un afflato verso
un destino più alto.
Per
questo rimaniamo schifati di fronte alla reazione volgare di coloro che nell'emiciclo
della Leopolda invocavano la castrazione
politica della minoranza del PD.
Quel
“fuori, fuori” in altro tempi avrebbe significato la ghigliottina o una
pallottola nella nuca. Non ci piace, nonostante la minoranza del PD abbia da
scontare più di una colpa.
La
prima è una totale assenza di chiarezza. Perché ha ragione Renzi quando sostiene
che non si può votare la riforma costituzionale in parlamento e poi entrare nei
comitati per il NO. Ma questo, alla fine, in un mondo dove le convinzioni non
sono più tali, è un peccato veniale. La sinistra PD ha un’altra colpa
magistrale, quella di non essere in grado anch'essa di indicare una via, di
organizzarsi intorno a un leader credibile, di non saper raccordare il ricordo
del passato con le ansie dell’avvenire.
L’ultimo
errore in ordine di tempo è aver mandato una brava persona come Cuperlo a
trattare sulla riforma elettorale, pur spendo che la sua dirittura morale sarebbe
arrivata fino al limite dell’autolesionismo. Per questo hanno avuto buon gioco i levantini
a fargli firmare un foglio pieno di buone intenzioni che vale quanto una
scrittura privata, senza nemmeno l’avallo di un notaio.
Ma
tornando alla Leopolda quelle grida, se proprio si vuol fare una analisi, non
sono state solo una invettiva contro i vecchi arnesi ma un attacco che nasceva
dal cuore di chi vuole chiudere i conti con la sinistra in questo paese. Posizione
legittima ma che richiederebbe ben altro approfondimento. Il PD secondo questa
gente non è più un partito di centrosinistra la sinistra va cancellata, rottamata,
ma per loro non è più nemmeno un partito di centro è un’altra cosa è un post
partito è qualcosa che va oltre gli schemi. Ma alla fine stringi stringi cosa
rimane? Di questo forse sarebbe
interessante discutere, perché una forza politica si misura sulla direzione che
intende prendere. Ma di questo non parla nessuno. Forse perché come nella favola
“ I vestiti nuovi dell'imperatore” il re apparirebbe tristemente nudo.
Nessun commento:
Posta un commento